Postfazione

 

Questo libro ha presentato una visione introduttiva della disciplina della ingegneria della usabilità. La trattazione è stata indipendente dalla specifica natura dei sistemi da progettare, per i quali si è fatta la sola ipotesi che si tratti di sistemi che interagiscano in modo sostanziale con delle persone (escludendo, quindi, quei sistemi che controllano altri sistemi, senza significativi interventi umani), e ai quali sia richiesto un elevato grado di usabilità. Quanto detto si può applicare, per esempio, alla progettazione di sistemi informativi, di apparati di controllo di apparecchiature critiche, di apparati per  uso personale, di prodotti dell’elettronica di consumo, di sistemi multi-utente di varia natura, e così via.

In questo ambito, si è osservato che, negli ultimi due decenni, le discipline tradizionali della progettazione hanno subìto un completo cambio di paradigma: da una visione sistema-centrica delle attività e dei processi coinvolti, a una visione fortemente utente-centrica, per la quale l’oggetto della progettazione non sono più le sole funzionalità del sistema (system design), ma anche, e in primo luogo, le modalità di interazione fra il sistema e i suoi utilizzatori (interaction design).

Questo cambio di paradigma ha profonde implicazioni su tutte le tematiche connesse alla progettazione, e in particolare sui modelli del processo di progettazione e sviluppo, sulla composizione dei team di progetto, e sulla formazione stessa dei progettisti:

·             i processi di progettazione e sviluppo, qualunque siano i contesti organizzativi, le metodologie, gli strumenti e gli standard adottati, devono necessariamente essere di tipo iterativo, per inserire l’utente – e soprattutto le prove d’uso del sistema - lungo l’intero processo. Le prove d’uso diventano una componente della attività di progettazione;

·             i team di sviluppo devono essere necessariamente multi-disciplinari, per fronteggiare la complessità e la articolazione dei problemi posti dalla forte centralità dell’utente, con tutte le problematiche connesse (ergonomiche, psicologiche, sociali);

·             infine, la formazione dei progettisti – tradizionalmente di orientamento esclusivamente tecnico – deve ampliare i propri orizzonti. Un team multi-disciplinare è composto di persone con professionalità, culture, linguaggi, valori e priorità diverse, che devono riuscire a comunicare in modo armonico, nel rispetto dei contributi specifici al progetto complessivo. 

 

Anche se questo cambio di paradigma è stato proposto quasi un quarto di secolo fa, nella quotidiana pratica progettuale molta strada deve ancora essere percorsa per una sua adozione matura e consapevole, soprattutto nel nostro Paese. Questo libro si è proposto di contribuire a tale evoluzione, fornendo del materiale didattico per corsi universitari di introduzione e sensibilizzazione a questi argomenti, soprattutto (ma non solo) diretti a studenti di orientamento informatico.

Nello scrivere questo libro non mi sono posto l’obiettivo di formare degli specialisti di usabilità. Le molte facce di questo mestiere non consentono di riassumerne i molteplici aspetti di questa professione in così poche pagine. Né consentono di adottare il solo punto di vista dell’informatico, che inevitabilmente le caratterizza, data la mia formazione. Mi sono, invece, proposto l’obiettivo, molto meno ambizioso ma che ritengo assai importante, di suggerire ai progettisti di formazione tecnica la utilità di un approccio più ampio alle proprie attività, che riconosca che i sistemi da loro progettati si rivolgono, innanzitutto, a degli utilizzatori umani.

Certamente, non penso che ogni progettista di software – o di sistemi ad alto contenuto di software - debba trasformarsi in un esperto di usabilità: sono professioni diverse, ed è giusto che ciascuno tenti di fare al meglio il proprio mestiere. Ma ritengo indispensabile che ogni progettista di software comprenda che il suo lavoro ha implicazioni ben più ampie della sola risoluzione di problemi tecnici. La formazione tecnica tende inevitabilmente alla specializzazione, uno strumento potente, ma molto pericoloso. Il rischio è che lo specialista interagisca solo con altri specialisti della sua disciplina, e perda, a poco a poco, la capacità di comunicare con quelli di altre discipline – e di comprenderli. Il fenomeno è chiaramente percepibile solo da chi transiti attraverso contesti molto diversi. Personalmente, avendo frequentato ambienti professionali e didattici molto differenti, ho sperimentato di persona la rilevanza del fenomeno. Nell’attività didattica, mi sono trovato, dopo un imprinting dato da decenni  di insegnamento nei corsi di laurea in Informatica, a tenere alcuni corsi per studenti di Disegno Industriale e di Scienze della Comunicazione. L’impressione iniziale di incomprensione (reciproca) è stata fortissima. Non si tratta solo di differenti basi tecniche, ma di differenti linguaggi e, soprattutto, valori. Infatti, ogni disciplina ha i suoi valori e i suoi miti. Questi costituiscono il tessuto connettivo comune che permette ai  membri del gruppo di riconoscersi e di comunicare. Quando si perde questo tessuto comune, la collaborazione si fa molto più difficile.

Nella mia attività professionale, nel periodo di grande crescita del Web alla fine degli anni ‘90, mi sono trovato a gestire la fusione di due aziende che realizzavano siti importanti. Una era di estrazione informatica, con una forte cultura di ingegneria del software, l’altra  proveniva dall’area della comunicazione di marketing e della creatività. Entrambe erano leader di mercato. In teoria, sembrava la perfetta combinazione delle competenze necessarie a progettare siti web di grande qualità. Ma non funzionò. Le due comunità erano troppo diverse, e non furono in grado di intendersi e di comunicare. La innegabile leadership, riconosciuta, di ciascun gruppo ne rafforzava valori e convinzioni, e impediva di comprendere valori e convinzioni dell’altro gruppo, altrettanto validi ma sostanzialmente differenti.

Da allora, mi sono sempre dedicato al tentativo di favorire la crescita di una cultura multi- e inter-disciplinare nella scuola.  

Quando la sera è tersa, osservo il cielo.

Non finisco mai di stupirmi,

tanti punti di vista ci sono lassù

-    mi ha risposto.

W. Szymborska
da Il vecchio professore, in Due Punti, ed.Adelphi

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