3. Usabilità

Sintesi del capitolo

Questo capitolo ha lo scopo di introdurre i concetti base che saranno approfonditi nel corso di tutto il libro. In particolare, sarà precisato il concetto intuitivo di “facilità d’uso” e saranno discussi i principali ostacoli all’usabilità degli oggetti interattivi. Per questo sarà introdotto il modello di Norman sui sette stadi dell’azione, e i concetti di affordance e di feedback. Questi concetti sono chiariti attraverso semplici esempi. Viene quindi discussa la nozione di usabilità proposta dall’ISO 9241 e introdotti i concetti di apprendibiltà e di memorabilità di un prodotto. Sono infine introdotte le nozioni di accessibilità e di usabilità universale.

Un modello dell’interazione

Viviamo quotidianamente le difficoltà nel rapporto con gli oggetti che ci circondano, che percepiamo spesso come difficili da usare. Queste difficoltà non riguardano necessariamente gli oggetti di alta tecnologia; possiamo incontrare dei problemi anche nell’uso di dispositivi relativamente semplici: un fornello, una doccia, l’interruttore della luce. Quali sono le radici di queste difficoltà? La risposta a questa domanda è ovviamente molto importante: se possiamo individuare le cause profonde delle nostre difficoltà, possiamo studiare il modo di rimuoverle. È quindi utile analizzare il modo con cui noi interagiamo con gli oggetti, per individuare dove nascono le difficoltà nel loro uso, e perché.

Il modello più semplice dell’interazione fra un sistema e il suo utilizzatore è rappresentato dal ciclo di feedback (feedback loop), rappresentato in Figura 1. L’utente, per raggiungere il proprio scopo, fornisce un input al sistema, e riceve da questo una risposta (feedback), che viene interpretata e confrontata con lo scopo iniziale. Il risultato di questo confronto porta alla successiva azione dell’utente, innescando così un nuovo ciclo di stimolo-risposta. Le frecce della figura rappresentano pertanto l’informazione che fluisce da un interlocutore all’altro durante l’interazione. Questa informazione, nei sistemi informatici, è molto spesso di natura testuale (nei due sensi) o grafica (dal sistema all’utilizzatore). Può tuttavia essere di natura diversa: gestuale (per esempio, quando si usa il mouse come dispositivo di input), vocale, eccetera.

Figura 1.  Interazione utente-sistema  come ciclo di feedback

 

Il sistema rappresentato in Figura 1 può essere di natura qualsiasi: un computer, un telefono cellulare, un prodotto software, o anche, semplicemente, un oggetto non intelligente - un interruttore della luce, la leva del cambio di un’automobile, il rubinetto della doccia. Ciò che importa è che, ricevendo un certo stimolo, esso reagisca producendo qualche tipo di risposta. Così, per esempio, ruotando il rubinetto della doccia, si ottiene un flusso d’acqua di una certa intensità. Anche se questo libro si occupa della progettazione di quei sistemi (spesso con un elevato contenuto di software) in grado di fornire risposte complesse agli stimoli prodotti da utilizzatori umani, i concetti trattati sono del tutto generali, e il lettore potrà riferirli a sistemi di qualsiasi natura.

Il modello di Figura 1, nella sua semplicità, non permette di comprendere l’origine delle difficoltà che sperimentiamo nell’interazione con i sistemi. Perché alcuni sistemi ci paiono difficili da usare?  Per analizzare meglio quest’aspetto è molto utile un modello più articolato – e tuttavia ancora molto semplificato - proposto da Donald Norman nel 1986[1] e rappresentato in Figura 2.

Figura 2.  Il modello di Norman

 

Questo modello scompone il nostro operare sugli oggetti in sette passi (o stadi) principali:

1.     Formare lo scopo: decidiamo quale scopo vogliamo raggiungere

 

Esecuzione (la fase in cui pianifichiamo ed effettuiamo le azioni sul sistema):

2.     Formare l’intenzione: decidiamo che cosa intendiamo fare per raggiungere lo scopo prefissato

3.     Specificare un’azione: pianifichiamo nel dettaglio le azioni specifiche da compiere

4.     Eseguire l’azione: eseguiamo effettivamente le azioni pianificate

 

Valutazione (la fase in cui confrontiamo quello che è successo con lo scopo che volevamo raggiungere):

5.     Percepire lo stato del mondo: osserviamo come sono cambiati il sistema e il mondo circostante dopo le nostre azioni

6.     Interpretare lo stato del mondo: elaboriamo ciò che abbiamo osservato, per dargli un senso

7.     Valutare il risultato: decidiamo se lo scopo iniziale è stato raggiunto.

 

Come esempio, consideriamo un sistema costituito da una doccia, controllabile attraverso la manopola rappresentata in Figura 3, e scomponiamo secondo il modello di Norman i passi necessari per aprire il getto d’acqua.

 

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Figura 3.  La manopola del rubinetto della doccia dell’esempio

 

1.     Formare lo scopo:                      desidero aprire il getto d’acqua per fare la doccia;

2.     Formare l’intenzione:                  a questo scopo, intendo  operare sul rubinetto in figura…

3.     Specificare un’azione:                  … ruotandolo con la mano destra verso sinistra, fino in fondo;

4.     Eseguire l’azione:                       eseguo quanto sopra;

5.     Percepire lo stato del mondo:       sento che il rubinetto non può ruotare ulteriormente verso sinistra, e vedo         
                                                        un consistente flusso di acqua uscire dalla doccia; sento che l’acqua è calda;

6.     Interpretare lo stato del mondo:     comprendo che il rubinetto è arrivato a fine corsa, e che il flusso dell’acqua
                                              calda è conseguenza della mia azione sul rubinetto;

7.     Valutare il risultato:                    stabilisco che ho raggiunto lo scopo che mi ero prefisso.

 

Questo modello, nella sua semplicità, può essere applicato a qualsiasi tipo di azione. Ovviamente, azioni complesse dovranno essere decomposte in azioni sufficientemente semplici, ciascuna delle quali comporterà il passaggio attraverso i sette stadi.  Per esempio, la stesura di una lettera utilizzando un word processor dovrà essere decomposta in numerosi operazioni più semplici, quali: aprire un documento vuoto, scrivere l’intestazione, scrivere il corpo della lettera, stampare il file, e così via, arrivando fino al livello di “granularità” più opportuno. Chiarisce infatti Norman, nel libro citato (pag.67):

I sette stadi costituiscono un modello approssimativo, non una teoria psicologica completa. In particolare, gli stadi quasi certamente non sono entità separate e distinte. La maggior parte dei comportamenti non richiede che si ripassino tutti gli stadi nell’ordine, e nella maggior parte delle attività un’azione singola non basta. Devono esserci numerose sequenze e l’intera attività può durare ore o anche giorni. C’è un continuo anello di retroazione, in cui i risultati di un’attività sono usati per indirizzarne altre, in cui gli scopi conducono a scopi collaterali e sussidiari, le intenzioni a sub-intenzioni. Ci sono attività in cui gli scopi vengono dimenticati, scartati o riformulati.

Ciò che interessa, in questo contesto, è il fatto che il modello permette di individuare con grande chiarezza i momenti in cui possono presentarsi dei problemi. Nel percorrere i sette stadi dell’azione, infatti, è possibile che s’incontrino delle difficoltà nel passare da uno stadio all’altro o, come dice Norman, nell’attraversare i golfi che li separano. In particolare, ci sono due golfi che possono essere particolarmente difficili da superare (Figura 2):

·      il golfo della esecuzione, che separa lo stadio delle intenzioni  da quello delle azioni, e

·      il golfo della valutazione, che separa lo stadio della percezione dello stato del mondo da quello della valutazione dei risultati.

 

In altre parole, il golfo dell’esecuzione è quello che separa le intenzioni dalle azioni che permettono di realizzarle: per superarlo, dovrò identificare, fra le azioni che è possibile eseguire con il sistema, quelle che mi permetteranno di raggiungere lo scopo. Nel caso dell’esempio, non ci sono state difficoltà: il rubinetto è facilmente riconoscibile dal bollino rosso che lo identifica come rubinetto dell’acqua calda, e il suo comportamento è identico a tutti gli altri rubinetti – per aprire l’acqua occorre ruotarlo in senso antiorario. Il golfo dell’esecuzione, perciò, è facile da attraversare. Nel caso, invece, in cui mancasse il bollino rosso, l’utente sarebbe costretto a effettuare varie prove per identificare il rubinetto giusto, e il golfo dell’esecuzione sarebbe, nella metafora di Norman, più difficile da attraversare.

Il golfo della valutazione, invece, è legato alle difficoltà che l’utente deve superare per interpretare lo stato fisico del sistema dopo le azioni effettuate, e comprendere se ha raggiunto o meno lo scopo prefisso. A questo proposito, nel nostro esempio, si possono verificare varie situazioni. Che cosa pensare se, per esempio, il flusso d’acqua iniziale fosse freddo e restasse tale per parecchi secondi? L’utente non sarebbe in grado di valutare immediatamente se le sue azioni hanno raggiunto lo scopo desiderato, e dovrebbe attendere per un certo periodo - a priori non determinato - con il dubbio che lo scaldabagno sia spento. Il golfo della valutazione sarebbe, in questo caso, più difficile da attraversare. La situazione sarebbe ancora peggiore se il rubinetto dell’acqua fredda e dell’acqua calda non fossero fra loro distinguibili (attraverso il bollino colorato visibile in Figura 3). In questo caso, come tutti noi abbiamo sperimentato almeno una volta, dovremmo procedere per tentativi per identificare il rubinetto giusto, e il semplice compito di aprire il flusso d’acqua calda potrebbe richiedere anche diversi minuti. 

Come secondo esempio, consideriamo un normale fornello a gas da cucina (Figura 4). Nella versione di sinistra (a), l’associazione fra manopole e piastre è evidente: la disposizione fisica delle manopole segue da vicino quella delle piastre, ed è naturale presupporre (com’è nella realtà) che, per esempio, la manopola più a sinistra controlli la piastra situato nell’angolo inferiore sinistro. In questo caso, il golfo dell’esecuzione è facile da superare: è immediato identificare la manopola che governa l’erogazione di gas di una particolare piastra. Anche se l’apparato è molto simile, la situazione del fornello di Figura 4b è molto diversa, dal punto di vista della facilità d’uso. Qui l’associazione manopola/piastra non è ovvia, perché la disposizione fisica delle manopole non fornisce alcun indizio. Per superare il golfo dell’esecuzione l’utente dovrà fare delle ipotesi, che potrebbero risultare errate. Certamente, la probabilità di operare sulla manopola sbagliata sarà ora molto maggiore.

In entrambi i fornelli, invece, il golfo della valutazione è molto facile da superare: l’utente può verificare immediatamente il risultato della sua azione, osservando l’accensione della fiamma sulla piastra scelta. Se invece il fornello fosse dotato di piastre elettriche, il golfo della valutazione sarebbe indubbiamente più ampio. A meno che l’accensione non sia segnalata da una spia luminosa, l’utente avrebbe qualche problema nel riconoscere l’avvenuta accensione della piastra desiderata. Dovrebbe, tipicamente, toccarla con un dito per verificarne il calore, eventualmente aspettando qualche secondo in attesa che il riscaldamento risulti sensibile.

Figura 4.  Due esempi di fornelli: sono simili, ma la facilità d’uso è molto differente

 

La situazione peggiore si avrebbe nel caso in cui, in un fornello elettrico senza spie luminose, le singole manopole non fossero facilmente associabili ai vari fuochi, come nell’esempio di Figura 5, in cui alle manopole dei fuochi sono accostate le manopole del forno. In questo caso, entrambi i golfi (esecuzione e valutazione) sono piuttosto ampi.

Figura 5.  Un fornello difficile da usare

 

L’esempio dei fornelli ci mostra come, spesso, la facilità d’uso sia determinata, o seriamente compromessa, da elementi di modesta entità. Fra la soluzione a) e la soluzione b) di Figura 4 le differenze sono minime, e probabilmente del tutto irrilevanti sia dal punto di vista tecnico sia da quello dei costi di produzione. Si tratta, in definitiva, di un modesto disallineamento delle due manopole centrali: un dettaglio nell’economia generale del progetto. Ma è questo dettaglio che, come in molti altri casi, fa la differenza. Come rileva continuamente chiunque conduca prove d’uso con gli utenti, questi spesso s’inceppano su piccoli particolari: basta spostare un campo di input di qualche millimetro sullo schermo, cambiare il colore di un pulsante, riformulare un messaggio di errore, eliminare un acronimo o spostare una virgola in un testo, e l’ampiezza di uno dei due golfi viene modificata in modo sostanziale. Nella progettazione dei sistemi, come nell’arte, la qualità del risultato finale dipende non soltanto dalla concezione complessivo del prodotto, ma dall’interazione d’innumerevoli piccoli dettagli.

Affordance e feedback

Con il termine, intraducibile in italiano, di affordance, si denota la proprietà di un oggetto di influenzare, attraverso la sua apparenza visiva, il modo in cui viene usato. Si tratta di un concetto molto importante, introdotto nel 1966 dallo psicologo statunitense James J.Gibson, studioso della percezione, e poi ripreso da Donald Norman nell’ambito dell’interazione uomo macchina.

Un oggetto che possiede una buona affordance “invita” chi lo guarda a utilizzarlo nel modo corretto, cioè nel modo per cui è stato concepito.  Per esempio, l'aspetto di una maniglia ben progettata dovrebbe far intuire immediatamente come la porta vada aperta: se tirandola, spingendola, o facendola scorrere. Per esempio, fra i due maniglioni antipanico di Figura 6, quello di sinistra ha un’ottima affordance, perché invita chiaramente a “spingere”, mentre l’affordance di quello di destra è più ambigua: devo spingere o tirare?  Così, una porta che si apre automaticamente al passaggio ha una scarsa affordance, poiché non fornisce indizi sul suo funzionamento.

Figura 6. Due maniglioni antipanico con affordance diversa

Anche l’affordance della maniglia di Figura 7a lascia molto a desiderare: la sua forma non invita a ruotarla – come si dovrebbe fare per aprire o chiudere la finestra – ma a usarla per appendervi degli oggetti, come mostrato in Figura 7b.

Figura 7.  La maniglia di una finestra con cattiva affordance

 

Gli oggetti di Figura 8 sono invece dotati di una buona affordance. La forma del Mighty Mouse wireless della Apple fornisce chiari indizi su come usarlo. I due tasti laterali invitano a stringerlo fra le dita, e la posizione della pallina per muovere il puntatore sullo schermo, da ruotarsi con il polpastrello del dito indice, suggerisce chiaramente il corretto orientamento dello strumento. La particolare impugnatura della forbice, con i due anelli di forma diversa, invita chiaramente a utilizzarla nel modo corretto. 

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Figura 8. Oggetti con buona affordance. A sinistra: Mighty Mouse della Apple

 

Gli oggetti ad alta tecnologia sono spesso privi di affordance. Confrontiamo i due telefoni di Figura 9: l’apparecchio tradizionale possiede chiaramente un’affordance molto migliore dello smartphone di destra (il modello N97 della Nokia). La cornetta ha un manico centrale che permette di tenerla saldamente in mano per avvicinarne la parte superiore all’orecchio. Così facendo, la parte inferiore, che contiene il microfono, si porta naturalmente in prossimità della bocca dell’utilizzatore.  Né può esistere il dubbio su quale sia la parte superiore: il cavo che unisce la cornetta al corpo dell’apparecchio rende difficoltoso utilizzarla nel verso sbagliato. La forma della forcella, modellata perfettamente su quella della cornetta, invita chiaramente ad appoggiarvela sopra. Il disco combinatore può ruotare soltanto nel verso giusto, e i suoi fori si adattano bene alle dimensioni delle dita. La resistenza del disco consente di formare i numeri con uno sforzo uniforme e non eccessivo, fino al fermo di metallo che accoglie il dito a fine corsa. Non c’è dubbio che, nella sua forma tradizionale, il telefono costituiva un eccellente prodotto di design. 

Figura 9.  Quale telefono è dotato di migliore affordance?

 

Una buona affordance riduce quindi il golfo dell’esecuzione. Per ridurre l’ampiezza del golfo della valutazione, invece, gli oggetti dovranno fornire un feedback facilmente interpretabile, cioè un segnale che indichi chiaramente all’utente quali modifiche le sue azioni abbiano prodotto sullo stato del sistema. Per esempio, un bottone virtuale visualizzato su uno schermo dovrà mostrare chiaramente quando viene premuto, come nell’esempio di Figura 10. In questo caso, sia l’affordance sia il feedback sono ottimi: il bottone invita chiaramente a premerlo, e mostra in modo evidente il risultato di quest’azione.

Figura 10.     Un pulsante virtuale con buona affordance e buon feedback

 

Il feedback deve essere ben comprensibile e specifico: l’utente deve essere in grado di interpretarlo senza fatica. Meglio ancora, dovrebbe essere formulato nel modo che l’utente si aspetta. Importante è la sua tempestività: solo così l’utente lo può porre facilmente in relazione con l’azione cui si riferisce. Se la distanza temporale fra azione e feedback è significativa (Figura 11a), essi possono essere interpretati come eventi tra loro indipendenti: a volte bastano pochi secondi di ritardo per disaccoppiare, nella percezione dell’utente, i due eventi.

Figura 11.        Azione e feedback: possibilità

 

In questi casi, è opportuno inserire dei feedback intermedi, che segnalino chiaramente all’utente il progredire dello stato del sistema verso lo stato finale desiderato. Questi feedback intermedi possono essere discreti (Figura 11b), oppure continui (Figura 11c), realizzati per esempio con delle animazioni. Non è però sufficiente segnalare che “qualcosa è in corso”, mostrando semplicemente una figura animata sul video, come per esempio la barra ruotante di Figura 12a: l’utente non si accontenta di sapere che il processo è in corso, ma vuole sapere quanto dovrà ancora aspettare. Gli si dovrà quindi mostrare, ove possibile, una stima quantitativa del tempo mancante, come in Figura 12b o, meglio ancora, in Figura 12c.

 

Figura 12.        Feedback continuo realizzato con animazioni
(a: Mac OS 8; b: PowerPoint Mac:2008; c:
http://ww.cocacola.it )

 

In conclusione, il compito del progettista è pertanto quello di progettare oggetti con buona affordance, per ridurre l’ampiezza del golfo della esecuzione, e con buon feedback, per ridurre l’ampiezza del golfo della valutazione.

La nozione di usabilità

La nozione di facilità d’uso, che abbiamo finora utilizzato informalmente senza mai definirla, ci sembra semplice e intuitiva ma, come abbiamo visto commentando il modello di Norman, è in realtà piuttosto articolata, perché si riferisce ai processi coinvolti nella nostra interazione con il mondo. È quindi ora di tentare di definirla nel modo più preciso possibile. A questo scopo, alla dizione corrente di “facilità d’uso” si preferisce usare il termine più specifico di usabilità (in inglese, usability), proprio per segnalare che intendiamo riferirci a un concetto definito in modo preciso.

Il modello di Norman spiega quando e perché nascono i problemi di usabilità, ma non offre una definizione del termine. Ciò che ci interessa è una definizione operativa, che permetta di quantificare l’usabilità, dandone, per quanto è possibile, una misura oggettiva. Le definizioni riportate in letteratura sono numerose, ma non sempre utili a questo scopo.  Una definizione che fa al caso nostro è quella proposta nel già citato standard ISO 9241, non solo perché di fonte autorevole ma perché, nella sua semplicità, è ricca d’implicazioni di carattere pratico, e ci permette, come vedremo, di definire delle misure:

L’usabilità di un prodotto è il grado con cui esso può essere usato da specificati utenti per raggiungere specificati obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specificato contesto d’uso.[2]

Si tratta, per così dire, di una definizione multidimensionale, che scompone l’usabilità su tre assi, relativi a tre variabili sostanzialmente indipendenti: efficacia, efficienza e soddisfazione degli utenti, e il cui valore può in qualche modo essere "misurato" (Figura 13).

 

Figura 13.       Le tre dimensioni dell’usabilità secondo la ISO 9241

·      L’efficacia viene definita come la accuratezza e completezza con cui gli utenti raggiungono specificati obbiettivi. Essa considera pertanto il “livello di precisione” con cui l’utente riesce a raggiungere i suoi scopi, misurato in qualche modo numericamente.

·      L’efficienza è definita come “la quantità di risorse spese in relazione all'accuratezza e alla completezza con cui gli utenti raggiungono gli obiettivi”. Tali risorse potranno essere di natura differente secondo le situazioni, e potranno anch’esse essere quantificate. Per esempio: il tempo impiegato per ottenere un determinato risultato, il numero di tasti da premere per realizzare una certa funzione, il numero di operazioni di un certo tipo da effettuare, ecc.

·      La soddisfazione, infine, è definita – in modo in effetti un po’ contorto - come “la libertà dal disagio e l’attitudine positiva verso l’uso del prodotto”.[3]

 

Applicando questa definizione, potremo “misurare” l’usabilità associandole tre grandezze numeriche, che ne quantifichino l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione dell’utente. Queste grandezze dovranno essere definite caso per caso, in funzione della natura dello specifico sistema.  Per quanto riguarda la soddisfazione, la quantificazione sarà normalmente effettuata chiedendo agli utenti, attraverso opportuni questionari, di attribuire dei “voti” a specifiche caratteristiche del sistema (o al sistema nella sua totalità). Tutti i valori saranno ovviamente di tipo statistico, e verranno calcolati, per esempio, come media di un insieme significativo di misure.

Questa definizione di usabilità non è in alcun modo legata a caratteristiche specifiche dei prodotti: si tratta di una definizione del tutto generale, applicabile a qualsiasi manufatto, anche il più semplice. Per esempio, consideriamo ancora la manopola della doccia di Figura 3.  Per misurarne l’usabilità, potremmo definire le seguenti metriche:

·      efficacia: la capacità di regolazione precisa del flusso d’acqua, misurata sulla base dei litri aggiuntivi erogati al secondo per ogni giro completo della manopola, a partire dalla posizione di chiusura totale del flusso;

·      efficienza: per esempio, una funzione del numero n di giri di manopola necessari per raggiungere il flusso massimo.  In alternativa (o in aggiunta), potremmo considerare lo sforzo necessario per ruotare la manopola, utilizzando come misura il momento torcente. Nel primo caso, la manopola sarà considerata efficiente se permette di ottenere il flusso massimo in pochi giri; nel secondo caso, se lo sforzo richiesto per ruotarla è limitato;

·      soddisfazione: gradimento soggettivo medio espresso da un campione di utenti, per esempio con un voto da 0 a 10.

 

Come si comprende anche da questo semplice esempio, l’usabilità non è una proprietà assoluta degli oggetti, ma è sempre relativa al compito da svolgere, all'utente che lo svolge e al contesto d’uso. Nel nostro esempio, se il compito d’interesse non fosse quello di chiudere/aprire completamente l'acqua, ma quello di regolare l'acqua al 20% della portata del rubinetto, le nostre misure sul campione indicherebbero un’efficacia molto inferiore, perché non avremmo alcun modo di conoscere, durante l’uso, la portata corrente. Per questo compito, la manopola si rivelerebbe quindi uno strumento assai poco usabile. Ancora, se l'utente non avesse alcuna familiarità con i rubinetti, e non sapesse quindi che, di solito, il flusso dell'acqua viene chiuso con una rotazione in senso orario, ci sarebbe una percentuale significativa di rotazioni nel senso sbagliato, e quindi l’efficienza modesta. Infine, anche l'ambiente d'uso può influenzare drasticamente l’usabilità della manopola. Se, come caso estremo, il rubinetto fosse situato in una stanza diversa da quella in cui si trova la manopola che lo controlla, l’utente non potrebbe ricevere un feedback immediato dalle sue azioni sulla manopola. Sarebbe probabilmente costretto ad effettuare numerosi tentativi, peggiorando efficacia, efficienza e, molto probabilmente, soddisfazione. Lo stesso standard ISO 9241 sottolinea molto bene il fatto che l’usabilità è una nozione relativa:

Il termine usabilità è usato spesso per riferirsi alla capacità di un prodotto di essere usato con facilità. […] Comunque, gli attributi richiesti da un prodotto per essere usabile dipendono dalla natura dell’utente, del compito e dell’ambiente. Un prodotto non possiede alcuna usabilità intrinseca, ma solo la capacità di essere usato in un particolare contesto. L’usabilità non può essere valutata studiando un prodotto in isolamento.

Secondo la definizione utilizzata, l’usabilità è una nozione intrinsecamente tri-dimensionale: efficacia, efficienza e soddisfazione derivante dall’uso. L’importanza relativa di queste tre grandezze andrà quindi valutata caso per caso, in funzione degli obbiettivi del sistema. Come considerare, per esempio, un prodotto che offre all’utente una maggiore gratificazione nell’uso ma gli richiede più risorse, rispetto a un sistema di uso più efficiente ma meno “divertente”? Consideriamo, per esempio, il meccanismo per controllare la sveglia sull’iPhone. L’ora della sveglia viene impostata ruotando i due dischi orari mostrati in Figura 14, facendo scorrere il dito sullo schermo tattile. L’operazione è piuttosto gratificante (si resta affascinati dalla perfetta simulazione del movimento dei dischi, che ruotano proprio come due dischi reali, accelerando e poi, più lentamente, fermandosi sul valore prescelto), ma richiede tempo. Un meccanismo tradizionale, in cui l’ora è impostata semplicemente digitandone il valore per mezzo di una tastiera, richiede un tempo inferiore di circa il 50%, ma è sicuramente molto meno divertente.[4]  In questo caso, i progettisti della Apple hanno preferito la soluzione più insolita e divertente, tenendo conto dei particolari obiettivi di mercato dell’iPhone, e del fatto che l’impostazione della sveglia è operazione relativamente poco frequente. Per questo motivo, l’utente non viene troppo penalizzato dalla sostanziale inefficienza dell’operazione.

Figura 14.       Impostazione della sveglia sull’iPhone Apple (2009)

Apprendibilità e memorabilità

La definizione di usabilità va ulteriormente approfondita. Infatti, occorre prendere in considerazione l’evoluzione che può subire l’utente nel tempo, nella sua relazione con il sistema.  All’inizio, egli non lo conosce affatto (utente novizio), poi inizia ad usarlo (utente principiante), fino a diventare competente e, in qualche caso, esperto del prodotto (Figura 15).    

Figura 15.     Evoluzione dell’utente nel rapporto con il sistema

 

In questo processo di apprendimento, l’utente può incontrare difficoltà più o meno grandi, a seconda delle caratteristiche del sistema. Prodotti anche molto simili per quanto riguarda le funzioni offerte possono infatti avere profili di apprendimento molto diversi. La Figura 16 mostra due prodotti simili (che qui non interessa individuare) con profili diversi. Il prodotto A ha, per così dire, una bassa soglia di apprendimento: come si vede dal grafico, all’utente è sufficiente un tempo piuttosto breve per ottenere una buona usabilità con il prodotto. In altre parole, l’utente principiante è in grado di imparare in poco tempo a svolgere i compiti che gli interessano con buona efficacia, efficienza e soddisfazione. Il prodotto B ha un profilo diverso: richiede un addestramento molto più lungo ma, in seguito, ripaga ampiamente l’utente del suo investimento iniziale, permettendogli di raggiungere, a regime, un’usabilità molto più elevata. Un sistema che sia facile da imparare si dice dotato di elevata apprendibilità (learnability).

Figura 16.     Profili di apprendimento

 

Nella progettazione di un sistema, il progettista ha di fronte a sé diverse scelte possibili:

·      considerare come principali destinatari del prodotto gli utenti occasionali, cioè coloro che non hanno la necessità di utilizzarlo frequentemente, e quindi non sono disposti a investire una cospicua quantità del loro tempo in attività di apprendimento, oppure

·      progettare in primo luogo per gli utenti continuativi, cioè per coloro che lo utilizzeranno in modo frequente e continuativo, e pertanto saranno disposti a investire anche una significativa quantità di tempo per imparare ad utilizzarlo con la massima efficacia ed efficienza.

 

I risultati della progettazione, nei due casi, saranno prodotti molto differenti, destinati a due fasce di mercato sostanzialmente diverse. Una terza possibilità è quella di indirizzare il prodotto a entrambi i tipi di utente, progettandolo in modo che possa fornire entrambi i profili di apprendimento esemplificati nella Figura 16. In altre parole, il prodotto offrirà funzioni di rapido apprendimento (profilo A) e funzioni di più lento apprendimento, ma che permettano di ottenere gli stessi risultati con maggiore efficienza o efficacia (profilo B). L’utente potrà così apprendere molto rapidamente a eseguire i compiti di base, e imparare, in un tempo più lungo, a eseguire funzioni complesse in modo sempre più efficiente ed efficace. Si pensi, per fare un esempio, ai molteplici tasti funzione di Photoshop: sono difficili da ricordare, ma permettono, a chi li conosca e abbia acquisito la necessaria manualità, un’altissima efficienza operativa. Oppure, ancora in Photoshop, alla possibilità di definire delle macro personalizzate che svolgano in modo automatico le sequenze di operazioni corrispondenti ai compiti più ricorrenti. Il loro uso richiede certamente un addestramento significativo, ma i risultati possono comportare grossi guadagni di efficienza.

Nel caso degli utenti occasionali, è utile che le modalità d’uso del prodotto siano facili da ricordare o, come si dice, che il prodotto sia dotato di un’elevata memorizzabilità (memorability). In caso contrario, a ogni nuovo utilizzo l’utente dovrà, per così dire, ricominciare da capo, e riapprendere modalità d’uso dimenticate. Questa caratteristica è particolarmente importante per i prodotti destinati agli anziani, nei quali le capacità di memorizzazione sono spesso indebolite, e per i prodotti che, pur destinati a un uso poco frequente, siano critici.

Un esempio tipico è costituito dai sistemi domestici anti-intrusione. Le segnalazioni di allarme sono eventi rari – potrebbero non verificarsi mai – ma, quando si verificano, l’utente deve essere in grado di intervenire immediatamente e senza fare errori: per esempio, per richiedere al sistema la causa dell’allarme, o per disattivare la sirena, e così via. In questo caso la memorabilità è essenziale: non è pensabile che l’utente sia costretto a ricorrere, in tali circostanze, al manuale d’istruzioni. Potrebbe non essere a portata di mano oppure, più semplicemente, potrebbe non essercene il tempo. L’utente dovrà necessariamente ricordare, per giunta in condizioni di stress, comandi appresi anche molto tempo prima e probabilmente mai utilizzati fuori dall’addestramento.

Apprendibilità e memorabilità sono così importanti che diversi autori li considerano componenti primari da incorporare nella stessa definizione di usabilità. Per esempio, Jakob Nielsen[5] definisce l’usabilità come la somma dei cinque attributi seguenti:

        Apprendibilità
Il sistema dovrebbe essere facile da imparare, in modo che l’utente possa rapidamente iniziare a ottenere qualche risultato dal sistema;

        Efficienza
Il sistema dovrebbe essere efficiente da usare, in modo che, quando l’utente ha imparato a usarlo, sia possibile un alto livello di produttività;

        Memorabilità
Il sistema dovrebbe essere facile da ricordare, in modo che l’utente occasionale sia in grado di ritornare al sistema dopo un periodo di non utilizzo, senza dover imparare tutto di nuovo;

        Errori
Il sistema dovrebbe rendere difficile sbagliare, in modo che gli utenti facciano pochi errori durante l’uso e in modo che, se ne fanno, possano facilmente recuperare. Inoltre, non devono avvenire errori catastrofici.

        Soddisfazione
Il sistema dovrebbe essere piacevole da usare, in modo che gli utenti siano soggettivamente soddisfatti quando lo usano.

 

Una definizione di usabilità così articolata, pur mettendo in evidenza aspetti molto importanti, non è strettamente necessaria. Infatti, la definizione data nell’ISO 9241, che si focalizza sugli effetti dell’usabilità in termini di efficacia, efficienza e soddisfazione, in relazione a uno specifico contesto di utilizzo e a uno specifico utente, è in grado di tenere in considerazione anche gli effetti di apprendibilità o memorabilità insoddisfacenti.  Se per esempio un certo utente non fosse in grado di ricordare determinati comandi, in una data situazione d’uso, questo comporterebbe necessariamente una riduzione dell’usabilità secondo l’ISO 9241: efficacia, efficienza e soddisfazione nell’uso del prodotto, infatti, ne risentirebbero.

Sussidi all’utente

Un sistema interattivo è normalmente corredato da una serie di sussidi, che permettono ai suoi utenti di utilizzarlo agevolmente.  Alcuni possono essere integrati nel prodotto stesso, come i sistemi di help online, altri possono essere forniti a parte, come i manuali utente, altri ancora sono costituiti da servizi, forniti dal produttore, come gli help desk erogati attraverso call center, o da altri utenti, che volontariamente offrono il loro aiuto partecipando a comunità in rete variamente organizzate (mediante newsgroup, forum, chat). Tutti questi sussidi contribuiscono a determinare l’usabilità complessiva del sistema; è opportuno quindi discuterne brevemente.

La Figura 17 riassume i sussidi più comuni, in uno schema “a strati”. Essi sono di natura più o meno tangibile: gli strati interni sono costituiti da oggetti fisici (anche se in formato elettronico o costituiti da componenti software), mentre quello esterno è composto da servizi erogati attraverso sistemi di comunicazione, tipicamente il telefono o la rete Internet.

 

Figura 17.       Il prodotto e i suoi sussidi

 

Questi sussidi hanno lo scopo di assistere l’utente in vari modi. Alcuni lo accompagnano nell’uso iniziale del sistema, quando non lo conosce ancora, come gli starter kit e i tutorial. I primi sono di solito brevi istruzioni che lo guidano nella prima installazione o configurazione del sistema, e sono la prima cosa da esaminare dopo avere aperto la confezione del prodotto. I secondi sono guide all’uso iniziale del sistema, di solito piuttosto brevi, che hanno lo scopo di fargli prendere familiarità con le funzioni di base. Possono essere realizzati con manuali cartacei, con testi online o, sempre più spesso, con brevi video accessibili in rete.

Altri sussidi hanno lo scopo di assistere l’utente durante l’uso successivo. I manuali utente (user manual) sono testi che descrivono il sistema in modo completo, per tutti quegli aspetti che possono interessarlo: le sue caratteristiche e come usarlo. Sono di solito concepiti per essere letti sequenzialmente, dall’inizio alla fine. I manuali di riferimento (reference manual) sono invece pensati come strumenti di consultazione, per trovare informazioni specifiche durante l’uso. Sono quindi organizzati in modo tale da permettere un accesso rapido, non sequenziale, ai contenuti, per esempio con le voci disposte in ordine alfabetico. Le schede di riferimento (reference card) hanno la stessa funzione, ma sono molto più sintetiche: spesso una sola pagina in cui tutte le informazioni necessarie sono riassunte in schemi sinottici, concepiti per essere facilmente comprensibili da chi il sistema lo conosce già. Un agile memorandum da tenere accanto a sé durante l’uso.

L’utente, tuttavia, preferisce di gran lunga, ai manuali scritti, la disponibilità di qualcuno che gli suggerisca rapidamente che cosa fare nella situazione specifica: un amico già esperto che vada subito al punto, e gli indichi la soluzione per il problema che sta affrontando in quel momento. Infatti, spesso non è necessario, per un uso soddisfacente di un sistema, che l’utente ne abbia elaborato un modello concettuale completo, capace di spiegarne le modalità operative in ogni contesto, e l’intrinseca coerenza. Oggi, come abbiamo già osservato, alcuni sistemi sono molto complessi, e ogni utente usa solo una piccola parte delle funzioni disponibili. Pertanto, si accontenterà di conoscere un insieme (anche piuttosto limitato) di regole specifiche, del tipo “se devo ottenere x, allora dovrò fare y”: non sarà interessato a inquadrarle in una visione generale coerente e organica, che descriva anche le caratteristiche che non gli servono.

Questo desiderio di arrivare subito “al punto”, senza dover imparare troppe cose, è un aspetto molto importante del comportamento degli utenti, che spiega la grande diffusione di strumenti come le FAQ (Frequently Asked Questions), e i servizi online. Le prime sono elenchi di domande tipiche, che gli utenti si pongono nell’uso del sistema: “Come faccio a…?”, “Dove trovo …?”, “Perché succede che…?”, e così via. Questi elenchi di domande non devono essere necessariamente organizzate in un quadro organico: spesso è utilizzata una semplice funzione di ricerca per parole chiave per trovare richiesta specifica, e la sua risposta.  Nei secondi, in assenza di un esperto al fianco, l’utente interroga la rete, rivolgendosi all’help desk del fornitore del sistema, oppure alla comunità degli altri utenti. Gli strumenti utilizzati sono i forum o i newsgroup, o le chat. Nei primi, l’interazione avviene in tempo differito: l’utente esamina i testi delle conversazioni già avvenute, per verificare se qualcun altro, avendo esposto un problema simile, ha già ottenuto dalla comunità una risposta utile. In caso contrario, descrive il proprio problema, e lo inoltra in rete, sperando che, prima o poi, qualcuno risponda. Le chat, invece, supportano conversazioni in tempo reale: in questo caso l’interlocutore è in linea nello stesso momento, e la conversazione avviene con una serie di scambi domanda-risposta. Negli help-desk, le chat sostituiscono a volte i tradizionali call center telefonici.

Da molti anni è in atto una decisa smaterializzazione dei sussidi, che sono trasferiti dal supporto cartaceo (manuali a stampa) a quello elettronico (manuali su CD). La documentazione in formato elettronico viene poi, a partire da anni più recenti, sempre più spesso erogata esclusivamente attraverso la rete.  In un mondo in cui le connessioni alla rete erano lente e i computer connessi solo quando necessario, essa era predisposta per il download da parte dell’utente, e sostanzialmente statica. In un mondo di sistemi sempre connessi (always on), l’utente non scarica più i manuali, ma accede alle informazioni  in rete, navigando all’interno di documenti ipertestuali che risiedono permanentemente sui server dei produttori (Figura 18). Ciò permette al produttore un rapido e continuo aggiornamento della documentazione, non soltanto per allinearla alle nuove versioni del prodotto, ma anche per migliorarne la struttura dei contenuti, a seguito dei feedback da parte degli utenti. Per esempio, dopo l’accesso a un articolo della documentazione online di Microsoft Office 2007, all’utente viene chiesto: “Le informazioni contenute in questo articolo ti sono state utili?”. Le risposte (Sì, No, Non so) serviranno per migliorare i successivi aggiornamenti della documentazione.

Figura 18.       Evoluzione dei supporti dei sussidi all’uso

 

Contemporaneamente alla tendenza verso la smaterializzazione dei sussidi, e come conseguenza di questa, è in atto da tempo una tendenza all’integrazione degli stessi con il prodotto. L’insieme dei sussidi non è più visto come un insieme di componenti separati dal prodotto, ma come un vero e proprio sistema di aiuto costituito da elementi correlati e strettamente integrati con il prodotto cui si riferiscono. Prodotto e sistema di aiuto sono così visti come due componenti non separabili di uno stesso sistema. Entrambi hanno lo scopo di supportare l’utente nelle varie situazioni possibili, operando congiuntamente. La Figura 19 mostra un esempio d’integrazione stretta fra sistema e sistema di aiuto. Nel Mac, selezionando Aiuto nella barra dei menu, e ricercando la voce Seleziona tutto, comparire l’elenco delle sezioni del manuale che trattano argomenti connessi a tale voce. Inoltre, il menu Composizione viene aperto automaticamente, e appare una grande freccia che indica all’utente la voce Seleziona tutto in tale menu. È come se il sistema si sdoppiasse, e dicesse all’utente: “la voce che mi hai chiesto si trova qui”.

Figura 19.       Integrazione sistema - sistema di help (Apple Finder, 10.6, 2009)

 

I sistemi di aiuto odierni non si limitano a fornire strumenti di consultazione, sia pure integrati come in Figura 19, secondo il paradigma point&clic della navigazione ipertestuale. A volte realizzano veri e propri dialoghi con l’utente, secondo il modello (seppure ancora in una forma embrionale) dell’assistente virtuale ipotizzato, un quarto di secolo fa, nel video del Knowledge Navigator, con il quale la Apple immaginava i computer del futuro (vedi la Figura 4 nel Capitolo 7). Una tecnica diffusa utilizza i cosiddetti wizard (letteralmente: maghi), componenti software che dialogano con l’utente (attraverso semplici dialog box), guidandolo attraverso i passi necessari per effettuare un certo compito.  Essi sono prevalentemente utilizzati per operazioni complesse o poco frequenti, come per esempio la configurazione iniziale di un sistema. 

La smaterializzazione e l’integrazione progressiva dei sussidi all’uso si realizza completamente nelle applicazioni erogate online attraverso siti web, per le quali lo schema di Figura 17 si trasforma come in Figura 20.

Figura 20.       Smaterializzazione e integrazione dei sussidi

 

Le applicazioni web più diffuse, essendo destinate a un pubblico vasto e indistinto, non necessariamente esperto nell’uso dei computer, contengono spesso soluzioni innovative per abbassare al minimo la “soglia di ingresso” al sistema. È frequente la dichiarazione che all’utente “bastano pochi clic” per iniziare a lavorare con profitto. Tipicamente, l’utente viene invitato a provare gratuitamente il sistema, registrandosi mediante la compilazione di una semplice form: l’esplorazione iniziale delle funzioni principali non richiede la lettura preventiva di alcuna documentazione. I vantaggi  derivanti dall’uso del sistema gli vengono spesso spiegati con un breve video dimostrativo (Figura 21).

 

 

 

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Figura 21.       La home page di http://www.flickr.com invita l’utente a esplorare il sistema (2010)

 

In sintesi, l’usabilità di un prodotto va valutata considerando il sistema complessivo dei suoi sussidi, che spesso non sono distinguibili dal prodotto stesso. Un sistema interattivo allo stato dell’arte dovrebbe fornire al suo interno tutti gli strumenti per accompagnare l’utente dall’uso iniziale a un uso evoluto, aiutandolo via via a superare le difficoltà che incontrerà. Infatti, i manuali d’uso tradizionali sono letti di rado. Gli utenti preferiscono “rischiare” e provare comunque a utilizzare il sistema, anche se non lo conoscono. Ricorrono ai manuali di malavoglia e in casi estremi, a fronte di specifici problemi o impedimenti, e solo in assenza di alternative. Ce ne sono troppi: siamo circondati da manuali di ogni tipo, su carta o in formato elettronico. Se contassimo i manuali d’uso presenti in una normale abitazione di un paese sviluppato, supereremmo molto probabilmente il centinaio.[6]

Quand’anche i manuali fossero completi, di facile lettura, ben scritti o ben tradotti dalla lingua originale (e raramente lo sono), non avremmo il tempo di studiare una così imponente massa d’informazioni.

Un sistema usabile dovrebbe mettere in grado i suoi utenti di utilizzarlo senza alcun tipo di sussidio esterno al sistema stesso. In questo senso va interpretata la frase che Donald Norman, provocatoriamente, scrisse quasi un quarto di secolo fa nel suo libro La caffettiera del masochista:

Ho una regola semplice per individuare il cattivo design. Tutte le volte che trovo indicazioni su come usare qualcosa, si tratta di un oggetto progettato male.       

 

Usabilità universale

Come si è più volte osservato, l’usabilità è un concetto relativo. Non ha senso affermare che un prodotto è usabile in assoluto: è necessario specificare per quali utenti, per quali obiettivi e in quali contesti d’uso, come mette bene in evidenza la definizione dell’ISO 9241. Alcuni prodotti sono destinati a una ristretta categoria di utenti, per un utilizzo in contesti molto particolari. Altri sono destinati a un pubblico molto più ampio, per essere utilizzati in situazioni molto varie. A seconda dei suoi destinatari e contesti d’uso, prodotti destinati a fornire all’utente funzioni simili possono differenziarsi in modo considerevole. 

Per esempio, la Figura 22 mostra quattro diversi tipi di orologi. Servono tutti a indicare l’ora, ma a utenti e in condizioni di utilizzo completamente diverse. L’orologio da parete, nel quadrante in alto a destra, è destinato a utenti generici, e può essere utilizzato in contesti molto vari: in casa, in ufficio, in un locale pubblico, e così via. Al contrario, l’orologio da polso subacqueo del quadrante in basso a sinistra è destinato a un utilizzo molto particolare. Può essere usato anche fuori dall’acqua, ma è concepito per essere utilizzato soprattutto da un subacqueo in immersione, ed è in questo contesto che dovremmo valutarne l’usabilità. Gli altri due esempi sono ancora diversi. La meridiana (quadrante in basso a destra) è destinata a chiunque sappia leggere i numeri romani, e può essere utilizzata solo quando c’è il sole. Infine, l’orologio braille da polso (quadrante in alto a sinistra) è destinato al pubblico – molto specifico – degli utenti non vedenti che conoscono l’alfabeto braille. Questi utenti lo possono indossare in qualunque situazione. 

Figura 22.       Classificazione dei prodotti in rapporto alla specificità della loro destinazione
(utenti e contesti d’uso)

 

Per ciascuno di questi quattro diversi orologi, l’usabilità non può essere valutata in astratto: si dovrà tenere conto del particolare tipo di utenti ai quali è destinato, e degli specifici contesti d’uso per cui è stato concepito. L’usabilità dell’orologio braille, per chi non sappia leggere questo alfabeto, sarà molto bassa, così come quella di una meridiana collocata in una stanza in cui i raggi del sole siano filtrati da pesanti tendaggi.

Per i prodotti e i servizi destinati a un’utenza generica, e che risultano usabili per tutti, in contesti generici, è stato coniato il termine di usabilità universale (universal usability, Figura 23).[7]

 

Figura 23.       Dall’usabilità all’usabilità universale

 

La nozione di usabilità universale è chiaramente molto importante: un prodotto o servizio universalmente usabile può essere utilizzato facilmente da tutti, senza discriminazioni. Moltissimi prodotti possono essere progettati, senza troppe difficoltà, in modo da essere universalmente usabili: un coltello, un bicchiere, una penna. Per i sistemi interattivi più complessi, come per esempio i prodotti software, le cose sono chiaramente molto più complicate, come vedremo nel Capitolo 5.

Accessibilità

Strettamente correlato al concetto di usabilità universale è quello di  accessibilità (accessibility).  Questo termine è nato in ambito architettonico, dove è utilizzato da molti anni per indicare la possibilità di accedere agli edifici da parte di persone con disabilità motorie (tipicamente, utilizzatori di sedie a rotelle), senza che esistano delle barriere architettoniche che ne ostacolino la mobilità. Il termine è stato successivamente adottato anche nell’ambito dell’informatica. In questo caso, le barriere che impediscono l’accesso ai sistemi da parte di utenti con disabilità non sono, ovviamente, architettoniche, ma di altro tipo. Per esempio, un non vedente non è in grado di interagire con un sistema informatico o un sito web che gli comunichi le informazioni necessarie all’uso soltanto attraverso il canale visivo; un utente affetto da daltonismo potrebbe avere difficoltà a discriminare informazioni veicolate soltanto attraverso il colore, e così via.

Le persone affette da qualche tipo di disabilità costituiscono una percentuale significativa della popolazione. Almeno il 10% della popolazione mondiale è disabile, cioè, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è incapace di svolgere le normali attività della vita quotidiana a seguito di qualche menomazione.[8] Secondo stime dell’Istat sulla base di dati del 2004-2005, le persone con disabilità sono, In Italia, circa 2 milioni e 800 mila, corrispondenti al 5% circa della popolazione del Paese.[9]

In Italia, l’accessibilità dei sistemi informatici è regolata dalla legge n.4 del 9 gennaio 2004, Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici. Questa legge si propone di abbattere le barriere che limitano l'accesso dei disabili alla società dell’informazione e li escludono dal mondo del lavoro, dalla partecipazione democratica e da una migliore qualità della vita, in applicazione del principio di eguaglianza sancito dalla nostra Costituzione. Essa definisce l’accessibilità come

la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari.

Per tecnologie assistive la legge intende

gli strumenti e le soluzioni tecniche, hardware e software, che permettono alla persona disabile, superando o riducendo le condizioni di svantaggio, di accedere alle informazioni e ai servizi erogati dai sistemi informatici.

Tecnologie assistive sono quindi, per esempio, i lettori di schermo (che leggono “ad alta voce” i testi visualizzati sullo schermo del computer, per permetterne l’accesso a utenti non vedenti), le tastiere Braille, e così via. Al di fuori dell’informatica, si possono considerare tecnologie assistive, per esempio, le stampelle, le sedie a rotelle, le protesi, ecc.

Negli ultimi anni, i legislatori dei diversi Paesi hanno prestato particolare attenzione alle problematiche dell’accessibilità dei siti web, considerando la pervasività della rete nella vita quotidiana. In Italia, la legge 4/2004 già citata prescrive che i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione per la realizzazione di siti web siano nulli, qualora non rispettino opportuni requisiti di accessibilità. In sostanza, i siti web degli Enti della Pubblica Amministrazione italiana devono (o dovrebbero) essere, per legge, tutti accessibili.[10]

Anche se, nell’uso comune, il termine accessibilità è associato soprattutto ai soggetti disabili, esso viene usato spesso con una valenza più ampia, per indicare la possibilità di accesso ai sistemi non solo da parte di portatori di handicap in senso stretto, ma anche da chi soffre di disabilità temporanee o dispone di attrezzature obsolete o comunque con prestazioni carenti, per esempio connessioni internet molto lente. Anche queste costituiscono, infatti, delle “barriere” che separano l’utente dagli strumenti informatici, compromettendone o impedendone l’utilizzo (Figura 24).

Figura 24.     Le barriere all’accesso ai sistemi informatici

 

A volte, si usa anche il termine accessibilità universale (universal accessibility) per enfatizzare ulteriormente un’accessibilità estesa a tutti i possibili utenti, indipendentemente dalle eventuali ulteriori barriere costituite dalla loro classe sociale, lingua, etnia, cultura, collocazione geografica o altro.

Non bisogna confondere usabilità e accessibilità, sono due concetti diversi, come si comprende facilmente rileggendone le definizioni. L’accessibilità garantisce la possibilità d’accesso al sistema, mentre l’usabilità ne garantisce  un uso efficiente, efficace e soddisfacente. Quindi un sistema può essere accessibile, ma non usabile. Per esempio, un non vedente potrebbe riuscire a conoscere i contenuti di una pagina web mediante l’uso di un lettore di schermo,  anche se questa non fosse stata strutturata in modo ottimale a questo scopo. In altre parole, vi può accedere, ma in modo poco efficiente, poco efficace e poco soddisfacente.

Inoltre, come abbiamo più volte notato, l’usabilità è un concetto relativo: si riferisce a specifici utenti, compiti e contesti d’uso. Il termine accessibilità viene invece, in prevalenza, utilizzato con un significato assoluto: un sistema accessibile è un sistema accessibile a tutti (o quasi). Ne segue che un sistema può essere usabile ma non accessibile. Infatti, potrebbe essere usabile (cioè efficace, efficiente, soddisfacente) per utenti dotati di normali abilità e dotazione tecnologica, ma inaccessibile ad altri utenti che non si trovano in queste favorevoli condizioni (Figura 25).[11]

Figura 25.       Usabilità e acccessibilità

Ripasso ed esercizi

1.     Spiega che cosa intende Donald Norman per “golfo dell’esecuzione” e per “golfo della valutazione”.

2.     Spiega il concetto di affordance, e fornisci tre esempi di oggetti dotati di affordance e tre esempi di oggetti senza affordance, spiegandone il perché.

3.     Analizza il processo di utilizzo dell’ascensore di casa tua utilizzando il modello di Norman. Come valuti l’ampiezza del “golfo dell’esecuzione” e del “golfo della valutazione” e perché?

4.     Analizza le affordance di tale sistema. Possono essere migliorate? Come?

5.     Che cosa significa usabilità secondo l’ISO 9241?

6.     Utilizzando la definizione dell’ISO 9241, analizza l’usabilità dell’ascensore di casa tua. Può essere considerato usabile? Perché? Quali metriche utilizzeresti per confrontarne l’usabilità con quella di altri ascensori?

7.     Utilizzando la definizione di usabilità dell’ISO 9241, analizza l’usabilità di un elettrodomestico di casa tua (es.: il frigorifero, il forno a microonde, il fornello). Può essere considerato usabile? Perché? Quali metriche useresti per valutarne quantitativamente l’usabilità?

8.     Individua nel tuo cellulare una funzione che consideri poco usabile, e spiegane i motivi, facendo riferimento alla nozione di usabilità dell’ISO 9241.

9.     Che cosa significa “apprendibilità”? Per quali categorie di prodotti è una proprietà importante?

10.  Che cosa significa “memorabilità”?  Per quali categorie di prodotti è una proprietà importante?

11.  Spiega il senso della seguente affermazione di Donald Norman: “Tutte le volte che trovo indicazioni su come usare qualcosa, si tratta di un oggetto progettato male”.

12.  Che cosa significa usabilità universale?

13.  Definisci la nozione di accessibilità e confrontala con quella di usabilità.

Approfondimenti e ricerche

1.     Leggi il classico libro di Donald Norman, La caffettiera del masochista (edizione Giunti, 1990 e successive edizioni). Si tratta di un libro breve e divertente, che ha avuto una enorme influenza sugli studi sulla usabilità.

2.     Cerca in rete diverse definizioni di usabilità, e confrontale con quella discussa nel presente capitolo. Puoi iniziare, per esempio, da http://www.upassoc.org/usability_resources/about_usability/definitions.html.

3.     Approfondisci il concetto di affordance, per esempio iniziando dalla nota di Donald Norman in  http://www.jnd.org/dn.mss/affordances_and.html.

4.     Analizza i sussidi all’utente disponibili nel sistema operativo che utilizzi normalmente, e identificane le diverse tipologie sulla base di quanto discusso nel presente capitolo. Confrontali con i sussidi disponibili in un’applicazione web che utilizzi spesso (per esempio, Facebook).

5.     Leggi l’articolo di Shneiderman, Universal Usability, citato più sopra. È disponibile in rete all’indirizzo http://www.cs.umd.edu/~ben/p84-shneiderman-May2000CACMf.pdf .

6.     Cerca in rete il testo della legge 4/2004 sull’accessibilità, e riassumine il contenuto.

 

 

1.  

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[1] Donald A.Norman è considerato uno  dei padri della moderna psicologia cognitiva, e si è occupato di ergonomia e di design, con particolare riferimento al mondo della tecnologia, nel cui ambito ha scritto numerosi libri. Il modello di Norman è descritto in dettaglio nel suo libro The Psychology of Everyday Things, Basic Books, 1988, tradotto in italiano col titolo La caffettiera  del masochista – Psicopatologia degli oggetti quotidiani,  Gruppo Editoriale Giunti, 1990 e successive riedizioni. Si tratta  di un libro storicamente molto importante, di facile e gradevole lettura, ricco di esempi tratti dalla vita quotidiana, che si consiglia di leggere a integrazione di questi capitoli.

 

[2] Il testo in inglese recita: “the extent to which a product can be used by specified users to achieve specified goals with effectiveness, efficiency and satisfaction in a specified context of use” (ISO 9241-11:1998).

[3] Nel testo in inglese: “freedom from discomfort, and positive attitudes to the use of the product”.

[4] Il confronto con un cellulare Nokia è stato fatto da M. van Welie, in http://www.welie.com/thoughts .

[5] Jakob Nielsen, Usability Engineering, Academic Press, 1993, pag.26.

[6] Molto probabilmente troveremmo un manuale per ciascuno dei seguenti prodotti:  fornello, frigorifero, forno, forno a microonde, lavastoviglie, robot per cucinare, frullatore, macchina per caffè, cappa anti-fumo, lavatrice, asciugatrice, scaldabagno, ferro da stiro, televisore, radio, player DVD, amplificatore, due decoder, condizionatore, telefono fisso, sveglia, orologi personali, oltre naturalmente al manuale del cellulare di ciascun membro della famiglia, e ai manuali relativi a tutti i personal computer e alle console per videogiochi disponibili (e relativi prodotti software e periferiche). E poi un manuale per ciascuno dei piccoli elettrodomestici della cucina e del bagno, per l’eventuale sistema di allarme. E inoltre per automobile, autoradio, sistema di guida satellitare, macchina fotografica, videocamera, e ogni altro apparecchio utilizzato nel tempo libero.

[7] Il termine è stato proposto da Ben Shneiderman, nell’articolo Universal Usability, Communications of the ACM, vol.43, n.5 (maggio 2000), pagg.85-91.

[8] Per menomazione si intende qui il danno biologico che una persona riporta a seguito di una malattia (congenita o meno) o di un incidente. Si noti che il concetto di disabilità è cambiato considerevolmente nel corso degli anni. La Convenzione sui diritti dei disabili promulgata dall’ONU nel 2007 definisce le persone disabili come “coloro che presentano una duratura e sostanziale alterazione fisica, psichica, intellettiva o sensoriale la cui interazione con varie barriere può costituire un impedimento alla loro piena ed effettiva partecipazione nella società, sulla base dell'uguaglianza con gli altri.” Oggi quindi il termine identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale.

 

[9] Per questi dati, e altri sulla situazione italiana, si veda il sito http://www.disabilitaincifre.it, promosso dal Ministero della Solidarietà Sociale e realizzato dall’Istat.

[10] Esistono vari livelli di accessibilità. Lo spazio a disposizione non ci permette di entrare nei dettagli. Il lettore interessato può consultare il sito http://www.pubbliaccesso.gov.it/, realizzato a cura del CNIPA (Centro Nazionale per l’Inbformatica nella Pubblica Amministrazione). Esso raccoglie la normativa italiana in tema di accessibilità informatica, i documenti di approfondimento, manuali e testi di riferimento, studi e recensioni, prove di prodotti hardware e software ed esempi di siti accessibili.

 

[11] Invece, un sistema universalmente usabile è a maggior ragione universalmente accessibile (se non posso accedere, non posso considerarlo facile da usare). Un sistema universalmente accessibile non è detto che sia universalmente usabile.