13.                       Progettare il testo

Sintesi del capitolo

Questo capitolo tratta l’usabilità dei testi utilizzati nei sistemi interattivi, dal punto di vista della loro leggibilità fisica, comprensibilità e gradevolezza. Per quanto riguarda la leggibilità, dopo una sintesi dei concetti base della tipografia digitale, vengono fornite alcune linee guida per l’uso corretto dei caratteri nei testi su monitor. Per quanto riguarda la comprensibilità dei testi in lingua italiana, si introduce l’indice Gulpease, e le nozioni di vocabolario di base e di vocabolario fondamentale. Vengono quindi riassunte le principali indicazioni fornite nei manuali di stile, e descritto il particolare stile che conviene utilizzare nei testi per il Web, ricchi di link ipertestuali. Il capitolo si chiude con esempi di uso “emozionale” del testo.

L’usabilità del testo

Secondo il vocabolario il testo (dal latino textus, con significato originario di tessuto o trama) è “l’insieme delle parole che compongono uno scritto”. Un testo è composto di caratteri. I segni grafici che sono utilizzati per rappresentare un testo sono detti glifi.[1] Il testo è un componente molto importante di molti sistemi interattivi, e può comparire in vari contesti: nei messaggi di errore o di avvertimento, nei sistemi di help online, nelle pagine di un sito web. In questo capitolo considereremo il testo come componente a se stante, allo scopo di individuare delle linee guida per la sua stesura, per una migliore usabilità complessiva del sistema in cui è inserito.

Innanzitutto, osserviamo che la nozione di usabilità può essere utilizzata anche per i testi. Applicando la definizione di pag.Errore. Il segnalibro non è definito., l’usabilità di un testo è “il grado con cui esso può essere usato da specificati utenti per raggiungere specificati obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specificato contesto d’uso”. Come abbiamo già osservato, questa definizione è di tipo operativo, e suggerisce di definire delle metriche opportune per misurare l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione raggiunte, in questo caso, dallo specifico testo.

Nel caso di un testo, efficacia ed efficienza possono essere misurate in diversi modi. Tipicamente, l’efficacia potrebbe misurare l’accuratezza e completezza con cui il testo viene “compreso” dai suoi lettori. Secondo questa interpretazione, un testo sarebbe considerato efficace quando il lettore fosse in grado di acquisirne tutti i contenuti (“completezza”) in dettaglio (“accuratezza”). L’efficienza potrebbe invece essere misurata dal tempo medio impiegato dai lettori per raggiungere determinati obiettivi di accuratezza e completezza. In questo senso, un testo A sarà considerato più usabile di un testo B se, a parità di condizioni (per esempio, argomento, lunghezza, formato, ecc.) potrà essere “compreso”, con lo stesso livello di accuratezza e completezza, in un tempo più breve. La soddisfazione dell’utente, potrebbe essere valutata chiedendo a un campione di soggetti di esprimere un giudizio di gradimento: ovviamente, non dei contenuti, ma del modo in cui essi sono comunicati attraverso il testo.

Come sempre, efficacia, efficienza e soddisfazione sono relative a una specifica tipologia di utenti e a un determinato contesto d’uso. Per esempio, utenti con un basso livello di scolarità sono in grado di padroneggiare un lessico più ristretto di utenti in possesso della laurea. D’altra parte, testi di tipo tecnico, facilmente comprensibili a uno specialista del settore, potrebbero non essere comprensibili ad altri lettori, anche se con buona scolarità. Infine occorre tenere presente il contesto d’uso, che è particolarmente importante quando il testo è inserito in un sistema interattivo. Infatti, per esempio, la situazione di chi legge un romanzo – o un saggio - è molto diversa da chi legge un testo di help mentre sta usando un’applicazione software. Nel primo caso, l’attenzione del lettore è concentrata sul testo che, per così dire, ne costituisce l’oggetto primario. Nel secondo caso, l’utente è concentrato sul compito che sta svolgendo con il sistema, e il testo assume una funzione collaterale, di ausilio: il contesto d’uso è completamente diverso. Anche il medium utilizzato è parte del contesto: un testo di un quotidiano a stampa viene fruito in condizioni molto diverse da quelle del testo di un quotidiano online.

Bastano questi pochi esempi per comprendere che l’usabilità di un testo dipende da un grande numero di elementi. Per ricavare delle linee guida utili alla progettazione di testi usabili dovremo quindi decomporre il problema complessivo in problemi più semplici, da affrontare uno per volta. Potremo così studiare separatamente i diversi fattori che contribuiscono all’usabilità dei testi, per ricavare delle indicazioni specifiche, da ricomporre poi in un quadro complessivo che tenga conto di tutte queste analisi. Per i nostri scopi è molto utile analizzare il testo da tre punti di vista: quello della sua legibility, quello della sua readability e quello della sua struttura para-testuale.

Legibility

La legibility di un testo è la facilità con cui riusciamo a discriminare le singole lettere che lo compongono. L’analisi della legibility considera la struttura tipografica di un testo: la forma, la dimensione, il colore dei caratteri, il modo in cui essi sono disposti sulla pagina in rapporto gli uni con gli altri. In relazione a questi elementi possiamo studiare la minore o maggiore facilità con cui un lettore può distinguere un carattere dall’altro, sui differenti supporti tecnologici utilizzati (carta o monitor).  Quando si analizza la legibility di un testo, non ci si occupa del suo significato, e della facilità o meno con cui il lettore può comprenderne il contenuto, ma soltanto della rappresentazione grafica e della riconoscibilità in rapporto al suo sistema visivo. La legibility può essere misurata con tecniche sperimentali, e posta in rapporto, come vedremo, alle diverse caratteristiche tipografiche del testo stesso.

Questi esperimenti possono essere realizzati in modo relativamente semplice, perché i fattori in gioco sono sostanzialmente di natura oggettiva (caratteristiche fisiche dei glifi, del medium utilizzato per visualizzarli, dell’ambiente di prova). I soggetti per gli esperimenti devono essere selezionati sulla base di una normale acuità visiva e capacità di discriminare i colori, ma non sulla base delle loro competenze linguistiche, poiché non devono comprendere il significato dei testi che vengono loro presentati. Gli studi sperimentali sulla legibility ci possono fornire indicazioni pratiche sul migliore uso delle molte soluzioni tipografiche di cui oggi disponiamo. Questi studi richiedono, da un lato, la conoscenza dei concetti e delle tecniche della tipografia digitale e, dall’altro, i metodi di chi studia la percezione umana e, in particolare, il sistema visivo dell’uomo.

Readability

La readability di un testo è la sua leggibilità complessiva.[2] In questo caso, ciò che importa soprattutto è la sua struttura linguistica: l’ampiezza del lessico utilizzato, la complessità delle strutture sintattiche e semantiche. Analisi di questo tipo sono ovviamente molto più complesse, poiché devono considerare la dimestichezza del lettore con il lessico e i costrutti utilizzati nel testo, e la conseguente facilità o difficoltà di comprensione. Esse sono condotte con i metodi e i concetti della linguistica. La grande difficoltà nello studio della readability deriva dal fatto che i processi cognitivi coinvolti nella lettura sono ancora poco noti. I vari livelli di elaborazione (visuale, lessicale, sintattica, semantica) sono strettamente interconnessi (Figura 1): è quindi molto difficile organizzare degli esperimenti che permettano di studiare un singolo fattore isolandolo da tutti gli altri. Nella stessa letteratura tecnica sull’argomento (soprattutto quella meno recente), le nozioni stesse di legibility e readability vengono a volte confuse; ciò fa sì che per molti esperimenti gli obiettivi non risultino chiari.

 

 

 

Figura 1.  I processi cognitivi che sovraintendono alla lettura
e comprensione dei testi sono strettamente connessi
[3]

Struttura para-testuale

Come indicato dal prefisso para,[4] il termine para-testo indica tutto ciò che sta “accanto” o “di contorno” ma anche “al servizio” del testo.  Analizzare la struttura para-testuale significa considerare aspetti quali l’organizzazione del testo in capitoli e di questi in sezioni, l’esistenza e la forma di titoli, riassunti, tabelle, schemi, figure, decorazioni, prefazioni e postfazioni, eccetera. In altre parole, studiare tutto ciò che sta “attorno” al testo e, in qualche modo, ne dirige o orienta la fruizione. Questi elementi sono particolarmente importanti per il progettista di sistemi interattivi, nei quali il testo è spesso immerso in un contesto para-testuale a sua volta interattivo. Tipico è il caso dei siti web, che contengono apparati di navigazione (menu, titoli delle sezioni, breadcrumb, thumbnail, ecc.) e collegamenti ipertestuali interni agli stessi testi, per permettere al lettore di muoversi rapidamente da una porzione di testo all’altra. Tutti questi elementi para-testuali non soltanto orientano la fruizione ma la rendono effettivamente possibile. Sono quindi importanti ai fini dell’usabilità complessiva del testo. Lo studio e il confronto delle varie soluzioni para-testuali possibili nei sistemi interattivi sono condotti prevalentemente nell’ambito disciplinare della human-computer interaction.

Nel seguito di questo capitolo tratteremo legibility, readability e para-testi interattivi separatamente.

La tipografia digitale

Un tipo di carattere o font[5] è un insieme di caratteri con un certo stile grafico. Esso contiene caratteri alfabetici, in versione minuscola (lowercase) e maiuscola (uppercase), cifre e caratteri speciali. Storicamente, le minuscole sono state introdotte più tardi delle maiuscole. Originalmente, infatti, l'alfabeto latino era scritto solo in lettere maiuscole, ben delimitate sopra e sotto da due linee ideali. Le minuscole furono introdotte in seguito, per permettere una scrittura più rapida con la penna. Le minuscole hanno altezze diverse, per la presenza di ascendenti (per esempio, nelle lettere b, d, t) e discendenti (per esempio, nelle lettere g, p, q, y).

I caratteri appartenenti a un certo font possono essere rappresentati con glifi diversi, secondo le seguenti proprietà:[6]

·      stile (font-style): normale (normal), corsivo (italic) o obliquo (oblique). Di solito, lo stile obliquo è ottenuto con algoritmi che trasformano i glifi dello stile normale inclinandoli verso destra, mentre lo stile corsivo utilizza glifi disegnati appositamente;

·      variante (font-variant): normale (normal) o maiuscoletto (small-caps). Nel maiuscoletto, le minuscole sono simili alle maiuscole, ma un po’ più piccole e con proporzioni leggermente diverse (Figura 2).

·      peso (font-weight): i tratti dei glifi possono essere di spessore normale o più spessi (bold), in diversi gradi.  La terminologia è variabile: nero, neretto, grassetto, leggero, ecc. Alla boldness si possono dare dei valori numerici.

·       Dimensione o corpo (font-size): la distanza verticale fra due linee di base (baseline) contigue (vedi Figura 2). Come si vede in figura, è uguale alla distanza verticale fra il margine superiore dell’ascendente più alta e il margine inferiore della discendente più bassa, più “un po’”, affinché i caratteri di due righe contigue non si tocchino, quando fra esse non s’inserisce alcuno spazio[7]. Si possono usare diverse unità di misura. La più utilizzata è il punto tipografico, indicato con la sigla pt. Un punto tipografico vale 1/72esimo di pollice, pari a 0,35277 mm.[8] Per esempio, i caratteri di questo libro sono di corpo 10 pt.  Per occhio medio (x-height), si intende l’altezza delle minuscole, assunta convenzionalmente come quella della lettera x (Figura 2). Si usa la lettera x perché le minuscole, anche quelle senza ascendenti e discendenti, non hanno tutte la stessa altezza. Infatti, alle lettere tonde si danno spesso dimensioni più grandi di quelle lineari, per applicare una correzione ottica senza la quale apparirebbero al lettore più piccole delle altre. Per lo stesso motivo, l’altezza delle maiuscole è convenzionalmente quella della lettera E.

Figura 2.  Terminologia tipografica (il font è Times New Roman)

 

Fra le proprietà del testo nella sua globalità ci sono le seguenti:

·      decorazione (text-decoration), per esempio: sottolineato (underline), cancellato (line-through), lampeggiante (blink);

·      spaziatura delle lettere (letter-spacing): può essere quella di default per il font utilizzato (normal), o una spaziatura aggiuntiva, di specificato valore;

·      spaziatura delle parole (word-spacing): quella di default per il font, o una spaziatura aggiuntiva;

·      allineamento (text-align): a bandiera sinistra (left), a bandiera destra (right), centrato (center), giustificato o “a pacchetto” (justify, Figura 3);

·      rientro (text-indent): il valore di rientro della prima riga di ogni paragrafo;

·      interlinea (line-height): è la distanza fra le linee di base di due righe di testo contigue.

 

Figura 3.  Allineamento a bandiera sinistra (a), destra (c), a pacchetto (b)

 

I font si suddividono in due categorie principali: graziati o senza grazie. I caratteri graziati (o serif) hanno particolari terminazioni dei tratti delle lettere, chiamati appunto grazie (Figura 2). L'uso delle grazie deriva dai caratteri lapidari romani, dove era molto difficile scalpellare nel marmo angoli di novanta gradi necessari a terminare le aste. Le grazie servivano allora a evitare (o nascondere) le sbrecciature. I font senza grazie sono chiamati anche bastoni, o sans-serif.

Un’altra distinzione importante è quella fra print-font e screen-font. I primi sono i font tradizionali, disegnati principalmente per la stampa. I secondi, molto più recenti, sono progettati in primo luogo per una resa ottimale sui monitor. Gli screen-font disponibili sono molto meno numerosi dei print-font, ma acquisiscono un’importanza sempre maggiore. Con l’evoluzione e la diffusione della tecnologia, infatti, il video è visto sempre più come il supporto prevalente per la visualizzazione dei documenti, e non soltanto come un comodo mezzo per controllare l’anteprima del prodotto finale, che sarà stampato su carta.

Il disegno di un buono screen-font richiede l’uso di tecniche specifiche. Infatti, le tecnologie di stampa e di visualizzazione su schermo sono molto diverse, e producono immagini con differente risoluzione. La risoluzione è la densità di punti elementari che compongono un’immagine, rapportata a una dimensione lineare, normalmente il pollice (inch, 2,54 cm). La risoluzione di un monitor è molto inferiore a quella ottenibile sulla carta stampata. Su un monitor abbiamo normalmente una risoluzione nel range 75-130 ppi (pixel-per-inch, pixel per pollice) circa.[9] Una stampa di buona qualità parte invece da una risoluzione di 300 dpi (dot-per-inch, punti per pollice[10]), utilizzata nei normali procedimenti di stampa tipografica, ma può arrivare, nelle stampanti laser commerciali, a 2400 dpi e più, molto di più. In definitiva, la risoluzione dei monitor è, oggi, circa un terzo di quella delle stampe di qualità standard: la differenza, osservata con una lente d’ingrandimento, è sostanziale, come mostra l’esempio di Figura 4. [11] 

Figura 4.  Ingrandimento della lettera “g” del font Bembo in corpo 10 pt,
riprodotta a diverse risoluzioni: 72 dpi, 150 dpi, 300 dpi, 1200 dpi[12]

 

Il progettista di uno screen-font deve curare che le forme dei glifi, in tutte le loro varianti, si adattino in modo ottimale alla griglia di pixel che li rappresenterà sullo schermo. Quindi, dovranno avere tratti curvilinei ridotti al minimo, uno spessore dei tratti costante e consistente anche nello stile normale, spazi interni alle lettere e fra le lettere ampi e regolari e, nel caso dei font serif, grazie squadrate e non troppo sottili. Inoltre, le coppie di lettere che si possono lambire dando luogo a legature (come, per esempio, ft, fi, fl, ff), devono essere ben separate, e caratteri simili devono distinguersi bene anche a bassa risoluzione (o, O e 0, oppure 1, I, J, l, i). In pratica, gli screen-font vengono progettati inizialmente su una griglia, e soltanto in seguito disegnati con tratti curvilinei. Le differenze, a un’analisi non superficiale, possono essere notevoli, come in tutti i caratteri dell’esempio in Figura 5.

Figura 5.  Screen-font (Trebuchet MS, in alto) e print-font (Cantoria MT) a confronto[13]

Anche se i font esistenti sono moltissimi, quelli utilizzati nei sistemi interattivi non sono molti. Nelle applicazioni web si riducono sostanzialmente a quelli presenti in tutti i principali sistemi operativi in circolazione, circa una diecina. Infatti, nella tecnologia attuale del Web, i font non sono inviati dal server al browser insieme alla pagina che li usa, ma devono essere pre-installati nel sistema client. Utilizzare font diversi da quelli già presenti significherebbe quindi costringere gli utenti a installarli prima di poter vedere la pagina.

La Figura 6 mostra alcuni dei font più diffusi.

Figura 6.  Alcuni  font molto diffusi

·      Il Times New Roman è probabilmente il font graziato più usato sulla carta stampata. Esso fu progettato da Stanley Morrison per conto del giornale londinese The Times, che lo adottò nel 1932 in sostituzione del font che il giornale usava in precedenza, chiamato Times Old Roman (da cui il nome). Aveva lo scopo di essere ben leggibile anche con caratteri di piccole dimensioni stampati sulla carta di cattiva qualità usata durante la Grande Depressione degli anni ‘30. Il disegno dei caratteri, alti e stretti, era specificamente concepito per ridurre i fastidiosi spazi bianchi derivanti dall’allineamento “a pacchetto” dei testi nelle colonne del giornale (Figura 3b). Il Times New Roman fu usato dal Times per quaranta anni. Dal 1972 fu sostituito più volte, sempre però con font di aspetto simile. 

·      Il Georgia è uno screen-font graziato, disegnato da Matthew Carter per conto della Microsoft nel 1993. Fu progettato per essere leggibile sui monitor anche in corpo piccolo, ed è molto simile al Times New Roman, rispetto al quale ha tuttavia diversi miglioramenti: le linee che compongono le lettere sono un po’ più spesse, e il loro spessore varia meno all’interno di uno stesso carattere. A parità di dimensione del font, le lettere sono un po’ più larghe e alte; l’altezza della x è lievemente più grande; le grazie sono più larghe e con tratti meno obliqui. Non ci sono legature e le lettere sono più “verticalizzate”, per permettere una migliore resa sul monitor (Figura 7).

·      L’Arial è un font senza grazie adatto sia ai monitor sia alla carta stampata. Fu progettato nel 1982 ispirata a Helvetica, un font disegnato nel 1957 che ebbe grande successo nel mondo della grafica e del design negli anni ‘70. Arial fu usato da Microsoft in Windows 3.1, ed è oggi molto diffuso sul Web.

·      Il Verdana è uno screen-font senza grazie, diventato quasi uno standard di fatto per i testi su monitor. Progettato da Matthew Carter per la Microsoft per massimizzare la leggibilità anche in corpo piccolo (fino a 4 pt) e su monitor a bassa risoluzione, fu rilasciato nel 1996 per Windows 95. Esso possiede caratteri larghi e ben spaziati, minuscole alte e ben leggibili, ed ha il vantaggio di differenziare bene i caratteri simili, come per esempio la i maiuscola  (che per questo ha le grazie), la elle minuscola e la cifra 1, che in altri font utilizzano lo stesso glifo. Verdana e Georgia sono i due screen-font per eccellenza: contrariamente alla prassi tradizionale di disegno dei caratteri, Carter progettò i glifi di Georgia e Verdana disegnandoli inizialmente come bitmap, e solo in seguito tracciandone i contorni.

Figura 7. La lettera O in Times New Roman (sinistra) e Georgia (destra).
La “verticalizzazione” dei caratteri migliora la resa sul monitor

 

Un font i cui glifi sono di larghezza variabile è detto proporzionale, mentre un font con glifi di larghezza fissa è detto non proporzionale (o monospace o a larghezza fissa). Per esempio, nei font proporzionali la "w" e la "m" sono della stessa larghezza mentre la "i" ha una larghezza inferiore. Però, in molti font proporzionali tutte le cifre hanno la stessa larghezza, per permettere l’allineamento di colonne di numeri. I font proporzionali sono generalmente considerati più eleganti e più facili da leggere e sono quindi quelli più comunemente utilizzati sulla carta stampata e sui monitor.

I font non proporzionali furono creati per le macchine per scrivere e per le stampanti a impatto, poiché lo spostamento del carrello dopo la stampa di un carattere era sempre della stessa misura. Anche i primi monitor, che utilizzavano un unico font, avevano caratteri di larghezza fissa. Oggi, i caratteri non proporzionali sono usati solo quando ci siano particolari esigenze d’incolonnamento, come, per esempio, nel codice dei programmi. In questo caso, infatti, le righe di testo devono essere rientrate con precisione a più livelli, per mostrare la nidificazione delle istruzioni. L’esempio tipico di font a spaziatura fissa è il Courier, disegnato nel 1955 per le macchine per scrivere dell’IBM (Figura 6).

Esistono anche numerosi font destinati a scopi particolari: quelli che riproducono la scrittura a mano libera, che contengono simboli matematici o simboli grafici “astratti” (chiamati dingbat font), e così via. Per esempio Symbol, con le lettere dell’alfabeto greco e diversi simboli matematici e Webdings, un dingbat font della Microsoft (Figura 8).

Figura 8.  Il font Webdings

Legibility

Prima di esaminare i risultati degli studi sulla legibility, ricordiamo brevemente i processi che avvengono nel nostro sistema visivo durante la lettura di un testo scritto. Essi sono diversi da come intuitivamente li immaginiamo: il nostro occhio non esamina sequenzialmente il testo carattere per carattere e da sinistra a destra, come ci sembrerebbe naturale, ma riconosce le lettere di una parola (e a volte di parole contigue, se brevi) in parallelo. Inoltre, si muove, per così dire, a scatti.  Questo processo può essere analizzato in modo molto accurato con apparati di eye tracking, con i quali si può visualizzare il percorso del nostro sguardo sul testo (scanpath), ed eseguire tutte le misure relative.

Durante la lettura, l’occhio esamina una parola per un tempo sufficiente a riconoscerla (fissazione), e quindi sposta l’asse visivo, con un movimento rapidissimo durante il quale non viene acquisita alcuna informazione, sulla parola successiva, dove avviene un’altra fissazione (Figura 9). Durante la fissazione di una parola, l’occhio ricava anche informazioni preliminari sulla parola successiva. Il movimento rapido (saccade) nella lettura silenziosa ha un’ampiezza tipica di circa 2 gradi (corrispondenti approssimativamente a 8 caratteri) e una durata molto breve, dell’ordine dei 20 msec. Ogni fissazione ha una durata media di circa un quarto di secondo. Nella Figura 9, le parole “sweat” e “pain” sono brevi, e vengono riconosciute nell’ambito della stessa fissazione. La parola successiva, “and”, molto frequente, non viene fissata, poiché le informazioni acquisite durante la fissazione precedente sono sufficienti per il riconoscimento.[14]

Figura 9.  Fissazioni e saccadi nel processo di lettura

I dati citati rappresentano valori medi, e variano in funzione delle caratteristiche del testo. Per esempio, sulle parole difficili le fissazioni sono più lunghe, e può succedere che certi blocchetti di caratteri vengano riesaminati se, per qualche motivo, la lettura non va a buon fine, come si vede nell’esempio in Figura 9. In effetti, circa il 15% del tempo complessivo è utilizzato in queste riletture.  Anche le caratteristiche tipografiche del testo influenzano i tempi di lettura. Pertanto, è molto utile eseguire delle misure sperimentali, basate su una metodologia rigorosa, che mettano in correlazione i tempi di lettura del testo con i parametri che ne definiscono le varie caratteristiche visive (per esempio, font, dimensioni, colore). Ciò permette di ricavare delle linee guida pratiche per il progettista, che può scegliere le caratteristiche tipografiche del testo in modo da facilitare il processo di lettura sulla base di fondamenta scientifiche rigorose.

Nella letteratura esistono numerose linee guida di questo tipo, ma non sempre basate su evidenze scientifiche. Ciò è comprensibile, poiché la tipografia è arte ormai antica, che precede di secoli le conoscenze che ci permettono oggi di condurre esperimenti rigorosi. In assenza di queste, grafici e tipografi hanno comunque elaborato delle indicazioni, che si sono col tempo trasformate in pratiche consolidate fra i professionisti. Occorre tuttavia essere cauti nell’applicarle: si tratta, a volte, d’indicazioni non confermate sperimentalmente e, non di rado, fra loro contraddittorie. La confusione esistente oggi su questo argomento è ulteriormente amplificata dal fatto che queste indicazioni sono riportate su numerosissimi siti Internet, senza citare la fonte e in modo acritico. Questo meccanismo di “passa-parola” contribuisce al consolidamento di vere e proprie leggende senza alcuna base reale. 

Peraltro, anche le analisi sperimentali oggi disponibili spesso non sono conclusive, e sono difficili da interpretare. Questo è dovuto a cause diverse. Per prima cosa, le tecnologie sono in rapida evoluzione, ed è chiaro che esperimenti condotti su monitor di tipo diverso sono difficilmente comparabili. Inoltre, i parametri che possono influenzare i risultati di questi esprimenti sono numerosi ed è difficile concepire degli esperimenti che isolino i diversi fattori. Gli esperimenti di solito misurano i tempi di scansione visiva di un testo da parte di un campione di lettori con normale acuità visiva, al variare di diversi parametri tipografici, per esempio font, dimensioni, contrasto fra carattere e sfondo, tinta, spaziature, allineamenti, e in condizioni di visualizzazione controllate. Per esempio, ai lettori usati nel test si chiede di esaminare sequenzialmente un testo alla ricerca di una o più parole date. All’inizio dell’esame viene fatto partire un cronometro, che viene fermato quando la parola cercata è riconosciuta, per misurare il tempo trascorso (tempo di reazione, o reaction time). In tal modo si costringe il lettore a scansionare tutti i caratteri del testo, senza analizzarne il significato. Questo è importante, per evitare che i processi cognitivi di più alto livello (Figura 1) interferiscano modificando i risultati dell’esperimento. Naturalmente, il tempo (efficienza) viene rapportato al tasso di errore nei riconoscimenti (efficacia). In diversi esperimenti, però, si richiede ai soggetti, dopo la lettura, di rispondere a semplici domande sul contenuto del testo. Ciò richiede da parte dei soggetti, oltre al puro riconoscimento dei caratteri (legibility), anche una parziale analisi lessicale o semantica (che riguarda più propriamente la readability). Ciò fa sì che questi esperimenti siano poco significativi o comunque d’incerta interpretazione.

Sfortunatamente, gli esperimenti finora condotti suggeriscono che non esistono delle regole semplici, che possano essere utilmente seguite in ogni situazione. Nel seguito di questa sezione tenteremo, senza entrare nei dettagli, di riassumere quelle indicazioni pratiche che, a oggi, sembrano ragionevolmente supportati da evidenze sperimentali.   

Lettura su carta e su monitor

Da molti anni è diffusa la convinzione che la lettura a video sia più faticosa e più lenta della lettura sulla carta stampata. Questa convinzione ha origine da vari esperimenti condotti negli anni ’80, e da allora frequentemente citati, i quali indicavano come la lettura su monitor fosse più lenta di circa il 25% di quella sulla carta. Ciò viene spiegato in ragione della sostanziale diversità delle due tecnologie: le caratteristiche fisiche, le possibilità di regolazione, l’angolo di lettura e, in generale, l’interazione del lettore con i due mezzi.  Per esempio, sulla carta il lettore può seguire col dito o con la penna la scansione del testo durante la lettura. E naturalmente, come già ricordato, il video ha una risoluzione molto inferiore a quella della stampa.

Studi successivi hanno mostrato che questa affermazione è piuttosto dubbia. Già nel 1992, a conclusione di un’ampia rassegna della letteratura sull’argomento, A.Dillon scriveva: “Sebbene la lettura sullo schermo di un computer possa essere più lenta e occasionalmente meno accurata della lettura dalla carta, è probabile che non esista una sola variabile responsabile della differenza. È quasi certo che le cause non sono dovute né a problemi della tecnologia né di chi legge. La lettura su video può essere altrettanto veloce e accurata della lettura sulla carta. Invariabilmente, ciò che è cruciale è la qualità dell’immagine presentata al lettore.”[15] Da allora, come si è visto, sono stati realizzati font specificamente progettati per il video, e la tecnologia dei monitor ha fatto significativi passi avanti. In effetti, una rassegna più recente (1997) conclude che “nonostante il fatto che questi studi mostrino differenze fra la lettura su carta e lettura online, essi sono in genere poco rilevanti o inconsistenti. Anche la scoperta che la lettura su monitor è significativamente più lenta della lettura su carta è stata messa in dubbio da esperimenti recenti che dimostrano come i miglioramenti nelle tecnologie video riducano le differenze, e possano perfino eliminarle.” [16] 

È necessario considerare, comunque, che l’uso reale di un sistema interattivo raramente avviene in condizioni ottimali. Il caso tipico è quello delle pagine web, che sono visualizzate su monitor di qualità molto variabile e in situazioni di fruizione diverse e fuori dal controllo del progettista. Quando leggiamo un testo a stampa, possiamo facilmente controllarne l’orientamento e spostarci per usufruire di migliori condizioni d’illuminazione. Chiaramente, con un monitor questo non è sempre fattibile. È pertanto consigliabile usare cautela nella progettazione dei testi destinati alla lettura su video, e assumere che il lettore si trovi nelle peggiori condizioni di fruizione possibili. Ciò significa, in pratica, utilizzare testi brevi e seguire le indicazioni che emergono dagli studi sperimentali sulla legibility riassunte qui di seguito. 

Font

Sono stati condotti numerosi esperimenti per individuare i font che permettano la lettura più rapida. Tuttavia, se consideriamo i font più utilizzati, tralasciando quelli più ornati e fantasiosi, non sembrano esistere esperimenti conclusivi che favoriscano, dal punto di vista dei tempi di lettura, un font rispetto a un altro. I risultati mostrano differenze modeste, non meritevoli di particolare attenzione e, soprattutto, fortemente dipendenti anche da altri fattori (tipicamente, la dimensione dei caratteri).

La Figura 10 mostra il risultato di uno di questi esperimenti.[17]

Figura 10.       Tempi di lettura di un testo con diversi  font (corpo 12)

Nella letteratura dell’HCI si riporta spesso la raccomandazione di preferire, per i testi sul video, font senza grazie, come Arial e Verdana a font graziati, come per esempio il Times New Roman. A questo proposito il video si comporterebbe in modo diverso dalla carta stampata, per la quale i font graziati sarebbero più leggibili.[18] In effetti, pressoché tutti i libri a stampa usano font con le grazie. La raccomandazione è spesso giustificata con il fatto che le grazie, piccoli segni anche obliqui, non sono ben riproducibili con i pixel del video, che rendono meglio forme semplici composte di linee orizzontali e verticali. Questa indicazione, pur largamente seguita nella pratica, non sembra tuttavia supportata da evidenze sperimentali conclusive, anche a causa dei metodi non sempre ottimali utilizzati negli esperimenti. Le differenze sarebbero comunque marginali, tali da non giustificare una scelta a scapito dell’altra. Ai fini pratici, sembra molto ragionevole la seguente conclusione, tratta da un’analisi recente della letteratura: “alla fine, dovremmo accettare che ogni font ben progettato e ampiamente utilizzato sia ugualmente leggibile, e che abbia più senso dibattere sull’uso di font con le grazie o senza grazie da un punto di vista estetico che da quello della leggibilità”.[19] 

Oggi, diversi giornali online, e non solo il New York Times, usano font graziati (per esempio, il Corriere della Sera, Le Monde, Il Sole 24 Ore, che utilizzano il font Georgia).

Maiuscole e minuscole

La leggibilità di un testo scritto in caratteri maiuscoli è minore di quella di un testo in caratteri minuscoli. Infatti, l’uso delle minuscole associa a ogni parola un pattern dato dalle ascendenti e dalle discendenti, che probabilmente ne facilita il riconoscimento.  Questo pattern non esiste nelle parole maiuscole, come si vede dall’esempio in Figura 11. In questa figura si vede anche che la presenza di ascendenti e discendenti permette di riconoscere con facilità una frase, anche se i suoi caratteri sono visibili solo in parte. Di conseguenza, è consigliabile non comporre mai testi lunghi solo in caratteri maiuscoli. Questi possono essere utilizzati senza problemi in testi brevi, come per esempio intestazioni o titoli.

Figura 11.       Leggibilità di testi in caratteri minuscoli

Corsivo, neretto e sottolineato

Il corsivo va in linea di massima evitato: sui monitor a bassa risoluzione può produrre una sgradevole scalettatura dei font (aliasing) per il disallineamento dei pixel lungo i tratti obliqui dei caratteri. Questo effetto può essere enfatizzato dalla presenza di grazie. Il neretto e il sottolineato possono essere utilizzati per richiamare l’attenzione su parole particolari. Come per i testi a stampa, tuttavia, è consigliabile limitarne l’uso ai casi di reale necessità, per evitare effetti visivi di eccessivo disordine. Peraltro, in accordo a una convenzione molto diffusa, molti consigliano di riservare le sottolineature ai link testuali nelle pagine web, per evitare ambiguità.

Dimensione dei caratteri

La dimensione dei caratteri è uno degli attributi che più influenzano legibility di un testo. È consigliabile usare font di dimensioni non inferiori al corpo 12. La Figura 12 riporta i risultati di un esperimento che mostra chiaramente come il tempo di lettura del testo (in ordinate, espresso in msec) peggiori significativamente nel passaggio da corpo 12 a corpo 10: l’aumento è del 30-50% circa, a seconda dell’interlinea.[20] L’esperimento mostra anche come l’effetto di un corpo piccolo possa essere parzialmente mitigato aumentando la spaziatura fra le righe. La legibility del testo in corpo 10 migliora infatti fortemente nel passaggio a interlinea 2.    

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Figura 12.       Tempi di lettura di un testo in funzione
della dimensione dei caratteri e dell’interlinea

Allineamenti

E’ opinione corrente che l’allineamento del testo a sinistra (Figura 3a) migliori la legibility, poichè fornisce una ancora visiva per i movimenti di “ritorno a capo” dello sguardo. Tale opinione, tuttavia, non sembra supportata da conferme sperimentali.[21] Sembra però difficile negare che l’allineamento a bandiera destra risulti confuso e quindi poco gradevole (Figura 3c). L’allineamento a pacchetto andrebbe evitato per colonne di testo strette, per evitare gli sgradevoli effetti prodotti dall’inserimento di spazi bianchi per l’allineamento a destra, come chiaramente visibile in Figura 3b.

Tinta

Anche a proposito della tinta dei caratteri e del colore di fondo, circolano numerose opinioni. Ben poche, però, sono supportate da risultati scientificamente verificati. Alcuni studi mostrano che la tinta non influisce significativamente sulla leggibilità, la quale invece è influenzata da luminosità e contrasto con lo sfondo; altri studi mostrano risultati diversi.

Per quanto riguarda il colore dei caratteri, si può anche ricordare che, nell’occhio umano, immagini di colore diverso sono focalizzate su piani diversi.[22] Pertanto, è opportuno non mescolare in un testo caratteri di colori diversi. Se così facessimo, i caratteri di diversi colori – soprattutto quelli di colori lontani nello spettro come per esempio il blu e il rosso – ci apparirebbero su piani diversi, causando serie difficoltà di lettura.

Infine, è opportuno ricordare che la percentuale di persone con problemi nella visione del colore (cfr. pag.Errore. Il segnalibro non è definito. e pag.Errore. Il segnalibro non è definito.) è significativa. I disturbi più frequenti, presenti nel 5% circa delle persone, consistono nella difficoltà nel distinguere il verde dal rosso. Pertanto, è indispensabile non associare al colore del testo informazioni che non siano veicolate anche con altri mezzi.

Polarità

Nemmeno un confronto fra la polarità negativa (cioè caratteri scuri su fondo chiaro) e la polarità positiva (caratteri chiari su sfondo scuro) sembra portare a risultati coerenti, anche se alcuni esperimenti suggeriscono che la polarità negativa sia preferibile. In effetti, essa è quella di gran lunga più utilizzata nei siti web con molto testo, per esempio nei giornali online.

Sintesi

In conclusione, le raccomandazioni che emergono dagli studi menzionati non sono molte, e vanno integrate da considerazioni basate sul buon senso. La tabella di Figura 13 le riassume.

Meglio evitare testi lunghi

Di solito si raccomanda di utilizzare (a video) font senza grazie (poche le conferme sperimentali)

Evitare il corsivo

Evitare testi lunghi in caratteri tutti maiuscoli

Usare preferibilmente caratteri di corpo non inferiore a 12; altrimenti usare interlinea doppia

Attenzione al contrasto fra colore del testo e colore dello sfondo

Preferire caratteri scuri su fondo chiaro

Non usare sfondi con texture che ostacolino la lettura

Non affiancare caratteri di tinte spettralmente lontane (problemi di messa a fuoco contemporanea)

Non veicolare le informazioni esclusivamente attraverso il colore (daltonismo, poca sensibilità al blu)

Figura 13.       Linee guida per la legibility dei testi a video

 

Adrian Frutiger, grande font designer, scrisse una volta: “Durante tutta la mia carriera professionale, compresi che la bellezza, la leggibilità e, in una certa misura, la semplicità, sono dei concetti molto vicini fra loro: una buona lettera è quella che si annulla davanti al lettore per divenire puro veicolo tra lo spirito dello scritto e la mente di chi legge.” Questa frase racchiude due concetti filosoficamente molto importanti per il designer di artefatti usabili. Il primo, che abbiamo già discusso a pag.Errore. Il segnalibro non è definito. a proposito dei livelli di maturità della progettazione, esprime il fatto che un artefatto maturo è “invisibile” durante l’uso. Così come una buona penna durante il processo di scrittura, un font ben progettato “scompare” all’interno del rapporto che s’instaura, durante la lettura, fra la mente di chi legge e la storia che il testo racconta. Il secondo concetto pone in relazione diretta bellezza e usabilità, almeno nell’ambito della tipografia. Afferma che i font che preferiamo sono quelli che riusciamo a leggere più facilmente. Diversi ricercatori hanno cercato di convalidare questo concetto, che ci pare intuitivamente accettabile, senza tuttavia ottenere risultati definitivi. Esiste, probabilmente, una certa correlazione fra usabilità percepita e gradimento estetico (ci piace ciò che ci sembra facile da usare), ma non fra gradimento e reale usabilità. In effetti, usabilità percepita e reale non sono necessariamente correlate: ciò che ci appare facile da usare non sempre lo è davvero.  

Readability

Quando dallo studio della legibility di un testo si passa ad analizzarne la readability, le cose si complicano notevolmente. L’essenza della lettura non sta nel riconoscimento visivo dei caratteri che costituiscono il testo, ma nella comprensione dei suoi contenuti. Un testo è tanto più readable quanto più rapidamente e senza sforzo siamo in grado di comprenderne “a fondo” i contenuti. Questo richiede, da parte della nostra mente, elaborazioni complesse. Per comprendere una frase:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura

dobbiamo non solo riconoscere le parole che la compongono, ma anche analizzarne la struttura. Dobbiamo comprenderne tutti gli elementi e la loro interazione: chi sta facendo cosa, dove e quando. Come arriviamo a questa comprensione? È chiaro che i fattori in gioco sono numerosi, e coinvolgono sia il livello lessicale, sia quello sintattico e semantico della frase. Inoltre la comprensione dipende fortemente dalle caratteristiche del lettore: dal suo livello di dimestichezza con il lessico e i costrutti linguistici utilizzati, dalla sua cultura generale e dalle sue conoscenze dello specifico argomento trattato.

Ancora una volta, però, possiamo formulare delle ipotesi semplificatrici. Per esempio, ipotizzare che, a parità di tutte le altre condizioni, un testo sia tanto più leggibile (readable) quanto più sia costituito da parole brevi e da frasi costituite da un numero limitato di parole. È chiaramente una semplificazione drastica del problema, che però permette di definire degli indici di leggibilità (readability index) attraverso delle semplici formule matematiche. Per calcolare l’indice di un testo, basterà quindi contarne le frasi, le parole e i caratteri (o le sillabe) che lo compongono, e applicare la formula (meglio se con l’aiuto di un computer).

Negli Stati Uniti, dagli anni ’20 del secolo scorso, sono stati proposti vari indici di leggibilità per la lingua inglese. L’obiettivo principale era valutare la readability dei libri di testo scolastici. Le formule che esprimono questi indici devono, ovviamente, essere tarate sulla realtà, attraverso messe a punto sperimentali che mettano in correlazione i valori degli indici con la scolarità del lettore. Per quanto riguarda la lingua italiana, lo strumento più noto per la valutazione della readability di un testo è l’indice Gulpease.[23] A differenza di altri, esso considera la lunghezza delle parole e delle frasi in caratteri invece che in sillabe, ed è perciò molto facile da calcolare. Il suo valore è un numero compreso fra 0 (leggibilità minima) e 100 (leggibilità massima) e si calcola mediante la seguente formula:

Le costanti della formula sono state scelte in modo che:

·      se il valore è minore di 80 il testo è difficile da leggere per chi ha la licenza elementare;

·      se il valore è minore di 60 il testo è difficile da leggere per chi ha la licenza media;

·      se il valore è minore di 40 il testo è difficile da leggere per chi ha un diploma superiore.

L’attendibilità di un indice di leggibilità non deve però essere sopravvalutata. Il semplice conteggio di caratteri, parole e frasi di un testo ci può fornire un indizio sulla sua complessità lessicale e sintattica, ma non ci può dire nulla sul suo significato, e quindi sulla sua reale comprensibilità.  Frasi come “Penso, dunque sono” o “M’illumino d’immenso” sono fatte di poche parole, ma la loro comprensione non è per niente banale. Gli indici di leggibilità operano, per così dire, solo sulla superficie del testo, e non ci guardano dentro: se prendiamo un testo con un certo indice e ne mescoliamo a caso le parole, il testo conserva lo stesso indice, pur diventando ovviamente incomprensibile.

Pur con queste limitazioni, l’uso di un indice di leggibilità può fornire indicazioni utili per il miglioramento di un testo. Un indice Gulpease troppo basso ci suggerisce che, probabilmente, stiamo utilizzando frasi troppo lunghe e sintatticamente complesse.  Poiché la stesura di un testo comporta di solito diverse revisioni, possiamo utilizzare questo strumento per misurare il miglioramento – in termini di semplificazione – fra una revisione e la successiva. Oppure per confrontare testi differenti (Figura 14).

Figura 14.       Uso dell’indice di leggibilità

 

Oltre alla complessità sintattica, possiamo considerare il vocabolario (o, come si dice, il lessico) utilizzato nella scrittura. Due testi che hanno lo stesso indice possono avere readability molto diversa, in funzione del vocabolario usato. È probabile che un testo fatto solo di parole di uso frequente e generalizzato sia più facilmente comprensibile di uno con parole insolite, tecniche o gergali, anche se con lo stesso indice di leggibilità. Si può allora studiare il vocabolario della lingua italiana e suddividerlo in insiemi di vocaboli noti a fasce via via più ampie di popolazione. Si può così costruire una rappresentazione a centri concentrici del lessico della lingua (Figura 15), che descriviamo brevemente nel seguito.

Figura 15.       Struttura del lessico della lingua italiana

 

Se si contano tutte le parole utilizzate nella storia della lingua italiana, anche quelle presenti una sola volta in qualche testo, si arriva a un numero molto elevato (probabilmente molto oltre il milione). Se però si eliminano dal conteggio le parole in disuso, i termini utilizzati solo in certe aree geografiche e i termini tecnici utilizzati in specifici settori, il numero si riduce sensibilmente, e si ottiene il cosiddetto vocabolario comune della lingua. Si tratta di quell’insieme di vocaboli registrato nei dizionari generici (non specialistici) della lingua. Il numero delle parole[24] del vocabolario comune dipende, ovviamente, dai criteri di selezione usati dai redattori. Per esempio, l’edizione 2004 del Vocabolario Zingarelli della lingua italiana conta 134.000 voci, mentre vocabolari più ridotti ne contano circa 60.000 o meno.

Come indicato nella Figura 15, all’interno del vocabolario comune si possono definire altri due insiemi più piccoli. Il primo è il cosiddetto vocabolario di base. Si tratta di quei termini del vocabolario comune che sono largamente noti ai membri delle più svariate categorie di persone. Il linguista Tullio De Mauro l’ha definito come l’insieme di parole certamente note a chi ha frequentato la scuola di base, cioè possiede una licenza di scuola media. È un insieme composto di circa 7000 vocaboli, di cui De Mauro e i suoi collaboratori hanno costruito l’elenco. Ne fanno parte, per esempio, le parole: abbronzare, abusare, accampamento, acconto, adagiare, agonia, alunno, anticipare, arrugginire, attribuire.[25] Alla data del censimento del 2001, gli italiani con la licenza media, e quindi teoricamente in grado di comprendere il vocabolario di base, erano i due terzi circa di tutte le persone di almeno 11 anni di età.

 

C’è infine il nucleo più interno della sfera lessicale di una lingua. È il vocabolario fondamentale. Sono i vocaboli che chi parla una lingua ed è uscito dall’infanzia conosce, capisce e usa. Sono le parole di massima frequenza nel parlare e nello scrivere, disponibili a chiunque in ogni momento, sempre che conosca l’italiano. Più precisamente, sono le parole note alla generalità degli italiani che abbiano frequentato le scuole elementari, e costituiscono, all’interno del vocabolario di base, un nucleo di circa 2000 parole. Per esempio, ne fanno parte le parole: abbastanza, abitudine, accogliere, acqua, addio, affrontare, amare, assai, atmosfera, avvenimento. Nel censimento del 2001, gli italiani in possesso almeno della licenza elementare, e quindi “teoricamente” in grado di comprendere con certezza il vocabolario di base, erano il 93% delle persone di almeno 11 anni. Abbiamo detto “teoricamente”, perché sappiamo che la preparazione scolastica non è affatto uniforme. Secondo un’indagine Censis del 2000, il 34% della popolazione italiana possiede “una competenza alfabetica molto modesta, al limite dell’analfabetismo”, quanto alle capacità e abilità necessarie per leggere testi in prosa quali: articoli di giornale, annunci, lettere, racconti, ecc. Questa “competenza alfabetica al limite dell’analfabetismo” si ritrova in percentuali significative anche fra chi ha fatto studi superiori, e non solo fra le persone con livello di scolarità molto basso.

La disponibilità dei vocabolari fondamentale e di base è molto importante ai fini pratici. Infatti, attraverso di essi è possibile costruire strumenti informatici che ci aiutano a semplificare un testo, segnalando i vocaboli “difficili” e proponendo dei sinonimi con un più alto grado di diffusione. In rete esistono siti che offrono un servizio di valutazione dell’indice e di classificazione delle parole utilizzate nel testo. Per esempio, la Figura 16 mostra l’analisi effettuata dal servizio www.eulogos.net sulle prime righe della Introduzione di questo libro. Il valore dell’indice Gulpease è 44. La tabella mostra l’indice di ogni frase e il suo livello di comprensibilità in relazione al livello scolastico del lettore.  Riporta anche la classificazione delle parole, evidenziando in particolare quelle che non appartengono al vocabolario di base (VdB), per esempio: ingegneria, usabilità, interattivi, informatica, software, inquadramento.

Questi strumenti possono essere incorporati anche nei word processor.

Figura 16.       Analisi della leggibilità delle prime righe della Introduzione di questo libro (www.eulogos.net)

 

Un esempio di scrittura ad alta leggibilità è il mensile Due Parole (http://www.dueparole.it), prodotto in rete per iniziativa di Tullio De Mauro (fino al maggio 2006).  I redattori di Due Parole scrivono utilizzando in modo consapevole e sistematico criteri di scrittura controllata. I criteri principali della scrittura controllata sono: la brevità dei testi, la semplicità delle frasi, l’uso del vocabolario di base (le parole che non vi appartengono vengono spiegate). Molto curata è anche l’organizzazione logico-concettuale dei testi. Si rivolge alle persone che hanno bisogno di testi informativi molto leggibili e comprensibili: studenti stranieri che seguono corsi in Italia, extra-comunitari con poca dimestichezza della lingua italiana, ragazzi italiani della scuola dell’obbligo che hanno difficoltà di comprensione della lingua italiana, soprattutto scritta.  

I manuali di stile

Esistono in commercio molti manuali di stile, che danno utili indicazioni per la redazione dei testi. Oltre a ricordarci le numerose regole sull’uso corretto dei vari elementi che compaiono in un testo, questi manuali forniscono spesso delle linee guida per una scrittura di facile comprensione. Si tratta di regole stilistiche, che consolidano la prassi del buon uso della lingua italiana, senza, ovviamente, convalide sperimentali. Sono le regole seguite dai redattori che correggono i testi dei libri prima di passarli in stampa. Per esempio, uno dei più noti manuali di stile per la lingua italiana,[26] propone dieci semplici linee guida, che riportiamo integralmente qui di seguito.

1.     Usare parole precise

Nei casi concreti e specifici, conviene usare termini concreti e specifici anziché termini astratti e generici. I termini astratti sono invece utili per dare generalità al discorso.

Esempi: documento > relazione (se tale); divisione > parete (se tale); togliere > svitare (se ruotando); modificare > correggere (se sbagliato).

2.     Usare parole semplici

Senza andare a scapito della precisione, conviene usare parole semplici e correnti anziché parole ricercate e difficili. Molti concetti complessi possono essere espressi con parole semplici, senza con questo compromettere il senso dell’informazione.

Esempi: appellativo > nome; remunerazione > compenso; conferire > dare; delucidare > chiarire.

3.     Usare espressioni semplici

Nel rispetto dello stile generale del discorso, conviene in genere usare espressioni semplici e immediate: in molti casi una sola parola può sostituire un’intera circonlocuzione.

Esempi: allo scopo di > per; nel momento in cui > quando; in base al fatto che > poiché; fare uso di > usare.

4.     Omettere le parole inutili

Nella costruzione delle frasi, conviene omettere le parole e le espressioni che possono essere eliminate senza modificare o impoverire il contenuto della frase.

Esempi: se è vero che > se; questo è un argomento che > questo argomento; il fenomeno, considerato nella sua natura > il fenomeno.

5.     Omettere le precisazioni superflue

Generalmente, conviene omettere le precisazioni strettamente superflue, che non aggiungono nulla al senso del discorso.

Esempi: il successo finale del corso > il successo del corso; eliminare del tutto > eliminare; assolutamente indispensabile > indispensabile; unire insieme con > unire con.

6.     Costruire periodi semplici

In genere, conviene comporre periodi brevi e semplici, più facili da leggere e interpretare, e spesso più efficaci. I periodi complessi possono essere scomposti in sequenze di periodi semplici, logicamente correlati fra loro.

Esempi: Per la sua complessità, la procedura è suddivisa in passi distinti, ciascuno dei quali corrisponde a una sequenza elementare di operazioni e fornisce un risultato autonomo > Per la sua complessità, la procedura è suddivisa in passi distinti. Ogni passo corrisponde a una sequenza elementare di operazioni e fornisce un risultato autonomo.

7.     Tenere vicini i termini collegati

Nella costruzione delle frasi, conviene tenere vicini fra loro i termini fra i quali esiste uno stretto collegamento logico: la vicinanza fisica aiuta a cogliere il collegamento.

Esempi: Rimandiamo a domani la decisione, quando avremo dati più precisi > rimandiamo la decisione a domani, quando avremo dati più precisi; il testo viene composto, dopo i vari passi di revisione, nella sua forma finale > dopo i vari passi di revisione, il testo viene composto nella sua forma finale.

8.     Esprimere le idee analoghe in forma analoga

Se si deve esprimere una serie di concetti analoghi, conviene usare una forma di espressione analoga per i singoli concetti: l’analogia della forma evidenzia quella della sostanza.

Esempi: La qualità si ottiene progettando con attenzione e con una realizzazione accurata > La qualità si ottiene progettando con attenzione e realizzando con cura; il piano di profondità controlla il beccheggio. Il rollio è controllato dagli alettoni. Con il timone si controlla l’imbardata > Il piano di profondità controlla il beccheggio. Gli alettoni controllano il rollio. Il timone controlla l’imbardata.

9.     Preferire la costruzione positiva a quella negativa

Quando una frase può essere costruita in forma positiva, conviene in genere scriverla in tale forma, poiché risulta più chiara e diretta.

Esempi: non credo che accetterò l’incarico > credo che rifiuterò l’incarico; quel treno non arriva mai in ritardo > quel treno arriva sempre in orario.

10.  Usare la forma passiva in modo ponderato

In linea di massima, nella costruzione del discorso conviene usare di preferenza la forma attiva, che generalmente risulta più chiara e diretta di quella passiva.

Esempi: La comprensione è facilitata dalla semplicità di linguaggio > la semplicità del linguaggio facilita la comprensione; questo atteggiamento può essere interpretato dal pubblico come un segno di disinteresse > il pubblico può interpretare questo atteggiamento come un segno di disinteresse.

 

Queste regole di semplificazione dovrebbero essere adottate in modo particolarmente rigoroso per i testi che hanno lo scopo di comunicare informazioni o istruzioni operative. Un’area particolarmente importante è quella dei testi della Pubblica Amministrazione, per i quali da tempo è in atto un progetto di semplificazione del linguaggio. Nella Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi emessa dal Ministro per la Funzione Pubblica nel maggio 2002, si dice:

I numerosi atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni, sia interni (circolari, ordini di servizio, bilanci) sia esterni, devono prevedere l’utilizzo di un linguaggio comprensibile, evitando espressioni burocratiche e termini tecnici. Anche gli atti amministrativi in senso stretto, che producono effetti giuridici diretti e immediati per i destinatari, devono essere progettati e scritti pensando a chi li legge. Oltre ad avere valore giuridico, però, gli atti amministrativi hanno un valore di comunicazione e come tali devono essere pensati. Devono, perciò, essere sia legittimi ed efficaci dal punto di vista giuridico, sia comprensibili, cioè di fatto efficaci, dal punto di vista comunicativo.[27]

In Figura 17 sono riportate le regole di scrittura del testo indicate nella direttiva sopra citata. È interessante osservare che, al punto 2, la direttiva suggerisce di utilizzare preferenzialmente il vocabolario di base di Tullio De Mauro e, al punto 10, suggerisce di usare quegli elementi para-testuali che possano facilitare la lettura, quali neretti, sottolineati, corsivi, grandezza del corpo, elenchi, ecc.

Figura 17.       Le regole del linguaggio amministrativo

 

I molti esempi contenuti nella direttiva e nel materiale informativo aggiuntivo chiariscono gli intendimenti del Ministero. Ne riportiamo solo due, a illustrazione delle regole 1 e 3 rispettivamente:

Testo originale: Qualora dal controllo dovesse emergere la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici conseguiti sulla base della dichiarazione non veritiera, fermo restando quanto previsto dall’art.26 della legge 4 gennaio 1968, n.15, in materia di sanzioni penali.

Testo riscritto: Chi rilascia dichiarazione falsa, anche in parte, perde i benefici descritti e subisce sanzioni penali.* (* Articolo 26, legge n.15 del 4.1.1968)

Testo originale: Tali posizioni sono da identificare non tanto in diritti irrefragabili, il cui esercizio prescinde dall’adozione di atti permissivi dell’Amministrazione, ma in situazioni giuridiche suscettibili di trasformazione a seguito di atti di tipo suindicato.

Testo riscritto: I cittadini che vogliono iniziare un’attività devono chiedere un’autorizzazione alle amministrazioni competenti.

Si tratta di un linguaggio semplificato, privo di complessità non necessarie, che trasmette le informazioni al lettore nel modo più chiaro ed efficace possibile, che viene denominato spesso plain language. Il plain language è la lingua ordinaria, che si sforza di assomigliare a quella usata nella conversazione quotidiana; è privo di espressioni gergali, dotte, desuete o rare, e coadiuvato da un’impostazione grafica che agevola la lettura. Idealmente, il lettore dovrebbe riuscire a capire il testo alla prima lettura. È la lingua che dovrebbe essere utilizzata, in particolare, nei testi che sono parte di sistemi interattivi usabili.

Il testo nel Web

I testi per il Web hanno caratteristiche peculiari. Scrivere per il Web richiede uno stile editoriale che si adatti bene alle modalità di lettura tipiche di questo medium. Infatti, come dimostrano numerosi esperimenti, l’utente del Web non legge le pagine, ma le “scorre”, un po’ come se cercasse informazioni su una carta geografica. A ogni pagina presta attenzione per un tempo limitato: spesso, solo per pochi secondi. Se non trova subito l’informazione cercata, è molto probabile che rinunci e passi a un’altra pagina. Anche nei testi che gli interessano, l’utente cerca di arrivare subito al punto, sorvolando sulle frasi meno importanti.

Come si è visto a pag.Errore. Il segnalibro non è definito., il senso di lettura su una pagina web non è necessariamente da sinistra a destra e dall’alto in basso, ma “saltellante”, senza un orientamento costante: lo dimostrano le analisi effettuate con strumenti di eye tracking. Ogni tanto clicchiamo su un link, esaminiamo il testo che ci viene presentato, poi clicchiamo ancora, spesso per tornare indietro. Secondo alcuni, non è nemmeno corretto parlare di lettura: si tratta infatti di un processo molto diverso da quello che avviene leggendo un libro; assomiglia, piuttosto, a ciò che avviene quando scorriamo le pagine di un quotidiano: lo esaminiamo per cercare le notizie che ci interessano scorrendo titoli e occhielli, spesso in modo non sistematico e non sequenziale. Quando un articolo richiama la nostra attenzione, raramente lo leggiamo per intero, da capo a fondo. Cerchiamo, invece, di estrarne il senso nel minor tempo possibile. Sul Web ci comportiamo nello stesso modo, ma abbiamo più gradi di libertà: qui un testo si espande anche “in profondità” e non solo in lunghezza e larghezza. Se una frase è un link, con un clic possiamo richiamare subito un’altra pagina e così via, di clic in clic. Queste possibilità, unite all’enorme quantità di informazioni disponibili, ci inducono a scorrere i contenuti ancora più in fretta, “saltellando” di pagina in pagina e di sito in sito. Si ricordi, a questo proposito, quanto detto a pag. Errore. Il segnalibro non è definito. sulla dispersione dell’attenzione nell’utilizzo del Web.

Il testo deve allora essere organizzato in modo da non creare ostacoli a chi lo esamina in questo modo. Jakob Nielsen ha introdotto il termine scannable text, che possiamo tradurre con testo da scorrere, per indicare un testo che si può facilmente esaminare in modo rapido e scorrevole.[28] Per questo, dobbiamo operare non soltanto sul testo vero e proprio, ma anche sugli elementi para-testuali (titoli, sottotitoli, link ipertestuali, ecc.). Per quanto riguarda il testo, dovremo seguire i principi già visti del plain language, esprimendo i concetti in modo conciso e strutturando il testo in paragrafi brevi, ognuno dei quali esprime un singolo concetto. Dovremo arrivare rapidamente al punto, esponendo i fatti in modo diretto, senza figure retoriche come metafore, similitudini o altro. Per quanto riguarda il para-testo, alcune indicazioni sono le seguenti:

·      strutturare il testo in pagine brevi, che preferibilmente non superino le dimensioni di una schermata, per ridurre la necessità di scrolling;

·      fare ampio uso di titoli e sottotitoli brevi e densi d’informazione (e non d’effetto, come nei giornali);

·      mettere in evidenza le parole chiave e i concetti importanti con opportuni artifici tipografici (neretto, colore, collegamenti ipertestuali che rimandano ad approfondimenti, ecc.);

·      usare le sottolineature esclusivamente per evidenziare i collegamenti ipertestuali, per non creare ambiguità;

·      organizzare i contenuti per livelli successivi di dettaglio, utilizzando estesamente le possibilità  associative di un ipertesto: titoli brevi, paragrafi brevi, rimandi a ulteriori approfondimenti con collegamenti ipertestuali;

·      inserire i rimandi ipertestuali in modo naturale nel testo. Per esempio, non si scrive: “Per vedere le nostre offerte speciali, cliccate qui” ma, semplicemente: “Le nostre offerte speciali”.

 

Come già osservato, a parte i collegamenti ipertestuali, l’analogia più prossima è quella con la pagina di un quotidiano, con i suoi titoli, occhielli, sommari, fotografie, didascalie, riquadri di approfondimento. È il cosiddetto stile a piramide invertita, come si dice nel gergo dei giornalisti. Invertita perché s’incomincia dal fondo, in altre parole dalle conclusioni, dalla sintesi, per proseguire con le spiegazioni e con i dettagli. E comunque usando sempre frasi brevi, semplici, dirette, evitando stereotipi, figure retoriche e ridondanze (Figura 18).

 

 

Figura 18.       Stile a piramide invertita

 

Jakob Nielsen ha coniato il termine “micro-content” per indicare quei contenuti espressi in frasi brevi, poche diecine di caratteri al massimo, e che tuttavia contengono tutte le informazioni essenziali, senza alcuna ridondanza. Una buona pagina web è ricca di micro-contenuti. La tendenza, nella comunicazione digitale, alla frammentazione dell’informazione in “micro-contenuti” è evidente: basti pensare all’enorme diffusione degli sms e, più recentemente, al grande successo di Twitter (www.twitter.com), non solo come social network, ma soprattutto come veicolo di informazione sintetica e in tempo reale.

Come è stato notato,[29] le sei parole chiave per la letteratura del terzo millennio di cui parla Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane possono anche essere considerate le sei parole chiave della comunicazione sul Web: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, consistenza. Testi che sulla carta sarebbero considerati assolutamente stringati, letti sul Web appaiono antiquati e ridondanti. Bisogna sempre evitare le introduzioni ampie e verbose: il navigatore del Web ha fretta, e non le leggerà.

Oltre allo stile “leggero”, ciò che differenzia un testo tradizionale da un testo per il Web è la presenza di link ipertestuali. Un ipertesto cambia profondamente le regole della scrittura, che si sviluppa anche in profondità, e non più soltanto in lunghezza.  Questa nuova dimensione del testo introduce interessanti possibilità, ma anche notevoli rischi. Un link è un po’ come una nota a piè di pagina: aggiunge nuove informazioni, ma distrae dal discorso principale. Le note a piè di pagina, però, sono quasi sempre brevi, e non portano da altre parti: l’occhio torna al testo principale quasi subito, e in genere non si perde il filo del discorso. Un link ipertestuale, invece, non sempre funziona così: può condurre a un testo che contiene altri link, che a loro volta conducono ad altri testi, e così via. Una lettura ramificata, nella quale il lettore si può smarrire facilmente (Figura 19).

Figura 19.       I link ipertestuali possono creare strutture complesse

 

I primi scrittori di ipertesti (negli anni 80, e quindi prima del Web), entusiasti per questo nuovo modo di scrivere (e di leggere), utilizzavano spesso i link in modo eccessivo. L’ipertesto era visto come un mezzo per mettere in piena evidenza la struttura di relazioni del sapere, una sorta di liberazione dai vincoli della scrittura sequenziale tradizionale. “Everything is interconnected”, dicevano i profeti di questo nuovo tipo di letteratura. Rilette oggi, queste prime creazioni ci appaiono spesso francamente illeggibili: per esempio, non era raro imbattersi in collegamenti circolari, che mandavano il lettore in loop. In un sito web, per evitare queste difficoltà, converrà fare un uso abbastanza sobrio dei link interni al testo, per evitare di creare una struttura di navigazione aggiuntiva, sovrapposta a quella del sito, col rischio di far perdere l’orientamento al navigatore. Nei casi più comuni, conviene limitarsi ad usare i link per richiamare i dettagli nella piramide invertita, come in Figura 18.

Esistono in commercio numerosi ottimi manuali di stile specificamente orientati al Web.[30]

L’uso creativo del testo

L’uomo può comunicare in molti modi, e anche il testo può avere usi molto differenti. Si può giocare con la forma grafica del testo, usarla in modo creativo per suscitare sorpresa, divertimento, ammirazione, ripugnanza, piacere.  Da questo punto di vista, il Web ha da sempre stimolato fortemente lo sviluppo della creatività dei progettisti. Gli esempi sono infiniti. La Figura 20 riporta una delle prime home page di Yahoo! (del 1995), in cui la scelta dei caratteri e dei colori del logo vuole sottolineare graficamente il significato della parola “yahoo” che, nella lingua inglese, significa “rude, selvaggio, sgraziato”.

C:\Users\rpolillo\Desktop\FACILE\Immagini\Yahoo1995.jpg

Figura 20.       Una delle prime home page di Yahoo (1995)

La Figura 21 mostra un altro esempio di uso creativo del testo: la home page di un’agenzia di design, che intende promuovere la propria creatività grafica. Al centro, un elaborato menu composto da caratteri di foggia e orientamento diversi. Dal punto di vista della legibility, esso lascia molto a desiderare. I caratteri sono grandi, ma hanno orientamenti diversi, che costringono il lettore a ruotare la testa verso sinistra e verso destra. Il loro colore, rosso scuro, li rende poco distinguibili dallo sfondo nero.[31] Come se non bastasse, la parola centrale (il nome della società che possiede il sito) è spezzata su 4 righe: per ricomporla il lettore deve compiere uno sforzo abbastanza significativo. Tuttavia, con ogni evidenza, l’effetto complessivo è voluto, ed è il risultato di scelte grafiche consapevoli.

C:\Users\rpolillo\Desktop\FACILE\Immagini\EmergentDesign.jpg

Figura 21.       Home page  
(
www.emergent-design.com, online negli anni1999-2004)

 

Un esempio estremo, più recente, è mostrato in Figura 22. Si tratta di una home page che mostra l’indice del contenuto del sito, in forma di cuore (di colore rosso su fondo bianco). Le differenti scritte che compongono il cuore sono, in sostanza, le voci di un menu. Il sito usa tecnologie di animazione: cliccando sopra ciascuna scritta, il cuore si anima e si disgrega, i diversi caratteri si separano e, letteralmente, volano via in direzioni diverse. La voce selezionata, però, si ricompone a formare il titolo della pagina corrispondente. Quando l’occhio, che segue quest’animazione, lascia i caratteri, la nuova pagina è apparsa sullo schermo video. La legibility è quasi nulla – ci vorrebbe moltissimo tempo a leggere in sequenza tutte le voci – ma la pagina possiede un fascino innegabile.[32]

 

Figura 22.       La home page dell’Annual Review 2008 della British Hearth Foundation
(
www.bhf.org.uk/annualreview2008)

 

Non tratteremo oltre l’uso emozionale dei testi. Questo non significa che il progettista dei testi debba sempre privilegiare legibility e readability rispetto ad altre caratteristiche. Non dimentichiamo che, per la definizione adottata in questo libro, usabilità significa anche soddisfazione dell’utente. In una visione non integralista dell’usabilità, gli aspetti che contribuiscono al gradimento del prodotto da parte dei suoi utenti sono altrettanto importanti di quelli che contribuiscono all’efficacia e all’efficienza d’uso. Peraltro, diversi esperimenti hanno mostrato una certa correlazione fra piacevolezza estetica e usabilità percepita, indipendentemente dalla usabilità effettiva. A ragione, da alcuni anni, la letteratura dell’usabilità ha fortemente rivalutato gli aspetti ludici ed emozionali del design.

Ciò che importa, ancora una volta, è che il progettista definisca in modo chiaro gli obiettivi e le priorità del sistema, e li persegua in modo consapevole, evitando compromessi e deviazioni. Questo rischio è sempre presente quando non si padroneggiano bene le potenzialità espressive a disposizione, come avviene per esempio in presenza di media nuovi, per i quali non si siano ancora consolidati dei paradigmi maturi di comunicazione. Questo è accaduto nei primi anni di sviluppo del Web, in cui l’usabilità veniva sacrificata all’appeal grafico anche in siti con obiettivi puramente strumentali e nei quali, quindi, avrebbero dovuto prevalere considerazioni di leggibilità e di comprensibilità. D’altra parte, questo era accaduto anche nei primi anni dello sviluppo del libro, un mezzo di comunicazione che oggi ci sembra banale, ma che ha richiesto secoli di esperienze (e di errori) per consolidare la struttura che oggi diamo per scontata. Per esempio, consideriamo la pagina del codice miniato del quindicesimo secolo rappresentata in Figura 23. L’oggetto, certamente apprezzabile dal punto di vista estetico, per quanto riguarda l’usabilità è tutto sbagliato. I caratteri sono poco distinguibili uno dall’altro, le righe di testo sono troppo brevi in rapporto alla dimensione dei caratteri, gli elementi decorativi (le lettere iniziali di ogni frase e i decori di fine frase) creano un “rumore” eccessivo che degrada fortemente la legibility, la quantità di testo per pagina è troppo bassa, le pagine non sono numerate.

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Figura 23.       Libro delle Ore (Francia, circa 1440)

Ripasso ed esercizi

-        Qual è la differenza fra legibility e readability?

-        Esamina la home page di un quoidiano online, e identifica tutti gli elementi paratestuali ivi contenuti.

-        Che cosa significa esattamente che un carattere è in corpo 12? Come si definisce l’interlinea?

-        Qual è la differenza fra print font e screen font?  Quali sono gli screen font più usati?

-        Qual è il modello più comunemente accettato del processo di lettura?

-        Riassumi li indicazioni tipografiche da seguire per ottenere una buona legibility dei testi sul video.

-        Che cosa sono l’indice Gulpease e il vocabolario di base della lingua italiana?

-        Analizza, alla luce delle dieci linee guida citate a pag. 17, il testo di un articolo del giornale di oggi, e semplificalo, se necessario, di conseguenza.

-        Che cosa si intende per scannable text? Riassumi le indicazioni che daresti a un redattore per la scrittura di testi sul Web.

Approfondimenti e ricerche

-       Per una sintetica rassegna sui modelli dei processi di lettura, puoi leggere l’articolo di K.Larson, The Science of Word Recognition, or how I learned to stop worrying and love the bouma, in http://www.microsoft.com/typography/ctfonts/wordrecognition.aspx.

-       Analizza e confronta le scelte tipografiche dei principali quotidiani online, dal punto di vista della leggibilità, facendo riferimento alle linee guida elencate in questo capitolo. Sulla directory di Yahoo puoi trovare l’elenco dei principali quotidiani online (alfabetico, per paese o per popolarità): http://dir.yahoo.com/News_and_media/Newspapers.

-       Leggi l’intervista a Matthew Carter sul design dei font Verdana e Georgia in http://www.will-harris.com/verdana-georgia.htm.

-       In Windows Vista e Office 2007 Microsoft ha introdotto la  ClearType Font Collection, composta da 6 famiglie di font: Calibri  (sans serif, che sostituisce Times New Roman come font di default di Word e Arial come font di default di PowerPoint), Cambria (serif), Candara (sans serif), Consolas (spaziatura fissa), Constantia (serif) e Corbel (sans serif). Esamina ed esperimenta questi font, verificandone le caratteristiche sulle voci relative di Wikipedia.

-       Confronta la comprensibilità di due quotidiani online in lingua italiana effettuando la valutazione dell’indice Gulpease di un campione di due brevi testi (per esempio articoli sugli stessi argomenti), utilizzando il servizio disponibile sul sito www.eulogos.net, o l’apposita funzione di Microsoft Word.

-       Analizza i testi delle notizie di Due Parole (http://www.dueparole.it/) e confrontali con quelli di un quotidiano online di pari data.

-       Analizza i testi del sistema di help online del tuo computer, dal punto di vista delle buone regole del plain language.

 

 

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[1] Il termine glifo deriva dal greco glujw, “incidere”. Mentre un carattere (o grafema) è una unità di testo, un glifo è una unità grafica. Un glifo, a sua volta, è composto da tratti grafici. Glifi e caratteri non sono in corrispondenza biunivoca. Per esempio, la coppia di caratteri “fi” corrisponde a un unico glifo, perché i due caratteri sono graficamente legati.

[2] In italiano non esiste un termine alternativo a leggibilità, che permetta di distinguere i due concetti. Per evitare ambiguità, saremo quindi costretti ad utilizzare sempre la terminologia in inglese.

[3] Immagine: cortesia Luca Colombo.

[4] Para deriva dal greco para, che significa “presso, accanto, oltre”.

[5] Il termine inglese font proviene dal francese medioevale fonte (femminile), ovvero “ fuso”, in riferimento al procedimento tradizionale di stampa a caratteri mobili, nel quale i singoli caratteri venivano realizzati fondendo il metallo. In italiano, è controverso se debba essere usato al maschile o al femminile. Noi lo useremo al maschile, seguendo l’uso prevalente e le indicazioni dei dizionari Garzanti e Zingarelli.

[6] La nomenclatura in uso è molto variabile. Per i termini in lingua inglese, utilizziamo qui la terminologia del linguaggio dei CSS (Cascading Style Sheets), che può essere ormai considerato uno standard della tipografia digitale.

[7] La definizione esatta di corpo, nella tipografia tradizionale, è la misura tra spalla superiore e spalla inferiore del carattere, cioè l’altezza totale del blocchetto di piombo che contiene il carattere.

[8] Esistono svariati punti tipografici. Questo è il Pica PostScript, quello più usato nei sistemi di desktop publishing.

[9] Nei computer con schermo piccolo, o nei telefoni cellulari, è desiderabile una densità maggiore, in quanto questi schermi sono destinati ad essere visti da vicino. Una serie di risoluzioni standard si trova in http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_displays_by_pixel_density#Standard-aspect_Display.

[10] Non bisogna confondere i pixel che formano l’immagine di un monitor con i punti (dot) che formano l’immagine nei procedimenti a stampa: sono cose diverse e hanno normalmente dimensioni diverse. Quindi, non necessariamente un punto sulla carta corrisponde a un pixel sul monitor. Analogamente, non bisogna confondere i punti tipografici (pt) usati come unità di misura per la dimensione dei font, con i punti (dot) prodotti dalle tecnologie di stampa. Un pt ha, come abbiamo visto, il valore fisso di 1/72esimo di pollice, mentre la dimensione di un dot dipende dalla tecnologia di stampa. 

[11] La risoluzione dei monitor è destinata a migliorare in futuro, ed esistono già tecnologie non commerciali che permettono una risoluzione superiore ai 500 ppi. In ogni caso, non sarebbe molto utile realizzare monitor con risoluzioni superiori ai 300 dpi. Infatti, questa è all’incirca la risoluzione che un occhio umano di normale acuità visiva riesce a discriminare alla normale distanza di lettura da un monitor.

[12] Questa figura è tratta dalla tesi di laurea magistrale in Teoria e tecnologia della comunicazione di Luca Colombo, The New Web Typography, Università degli Studi di Milano Bicocca, A.A.2007/2008 (relatore: Letizia Bollini).

[13] Il corpo è 14 pixel, senza anti-aliasing, ovviamente in forte ingrandimento. Cortesia di Luca Colombo, vedi nota precedente.

[14] Questo è il modello del processo di lettura oggi più comunemente accettato, ma ce ne sono altri. Per maggiori informazioni si veda  K.Larson, The Science of Word Recognition (2004), in  http://www.microsoft.com/typography/ctfonts/wordrecognition.aspx , da cui è tratta la Figura 266.

[15] Andrew Dillon, Reading from paper versus screen: a critical review of the empirical literature, Ergonomics 35(10), pp. 1297-1326 (1992), anche in http://dlist.sir.arizona.edu/1238/01/Ad1992.pdf

[16] K. O’Hara & A. Sellen, A Comparison of Reading Paper and Online Documents, CHI 97, pp. 335-342

 

[17] M.Bernard et al., A Comparison of Popular Online Fonts: Which is Best and When?, Usability News, 4, n.1 (2001), in http://www.surl.org/usabilitynews/32/font.asp. Questo esperimento non distingue chiaramente legibility e readability: ai soggetti viene chiesto di riconoscere, in un testo, parole scambiate con altre parole di suono simile ma chiaramente fuori contesto (es. cake / fake). L’esercizio implica quindi anche processi di riconoscimento lessicale.

[18] Questa convinzione viene a volte giustificata con il fatto che le grazie, enfatizzando la “orizzontalità” dei singoli caratteri,  renderebbero più fluida la scansione orizzontale del testo nella lettura.

[19] A. Poole, Literature Review - Which Are More Legible: Serif or Sans Serif Typefaces?, in http://www.alexpoole.info/academic/literaturereview.html  (ultimo aggiornamento: 2005)

 

 

[20] S. Williams & L.Scharff, The Effects of Font Size and Line Spacing on Readability of Computer Displays , in
http://www.laurenscharff.com/research/SWExp.html

 

[21] Un esperimento da noi condotto non mostra alcuna differenza nei tempi di lettura di testi allineati a sinistra o a destra, a bandiera.

[22] Ciò è dovuto al fatto che l’angolo di rifrazione di un fascio luminoso, nel passaggio da un mezzo all’altro dipende dalla lunghezza d’onda del fascio. Pertanto, quando i raggi luminosi attraversano il cristallino dell’occhio, vengono deviati di un angolo funzione della loro lunghezza d’onda, e quindi, in sostanza, del loro colore. Le immagini di diverso colore vengono quindi focalizzate sulla retina su piani leggermente diversi. L’effetto è tanto più sensibile quanto più le lunghezze d’onda differiscono.  

[23] Questo indice è stato sviluppato nel 1988 dal Gruppo Universitario Linguistico Pedagogico dell’Università di Roma La Sapienza (GULP), sulla base di ricerche di M. Corda Costa e T. De Mauro

[24] Più propriamente, dovremmo dire lessemi. Questo termine designa l’unità lessicale astratta, portatrice di significato. Ogni lessema può avere diverse forme, che chiamiamo genericamente parole. Così, il e lo sono due forme dello stesso lessema, ma due parole distinte.

[25] Le parole del vocabolario fondamentale e del vocabolario di base della lingua italiana sono elencate nell’appendice del libro di Tullio De Mauro, Guida all’uso delle parole, Editori Riuniti, pubblicato nel 1980 e da allora più volte ristampato. Il vocabolario di base non è un corpus statico, ma evolve nel tempo. Per esempio, nell’elenco di De Mauro non compare la parola cellulare, diventata da allora di uso diffuso.

[26] R.Lesina, Il nuovo manuale di stile (edizione 2.0) – Guida alla redazione di documenti, relazioni, articoli, manuali, tesi di laurea, ed. Zanichelli, 1994.

[27] http://www.funzionepubblica.it/chiaro/direttiva.pdf. Vedi anche http://www.funzionepubblica.it/chiaro/allegato.pdf e
http://www.entilocali.provincia.le.it/nuovo/files/Progetto%20di%20semplificazione%20del%20linguaggio.pdf .

[28] Vedi per esempio: J.Morkes, J.Nielsen, Concise, Scannable, and Objective:How to Write for the Web, 1997 (http://www.useit.com/papers/webwriting/writing.html). Il sito di Jakob Nielsen contiene molto materiale sull’argomento: http://www.useit.com/papers/webwriting.

[29] L.Carrada, Scrivere per Internet, Ed.Lupetti, 2000.

[30] Per un sintetico prontuario adatto per il Web, si veda per esempio il libro di  M. Grasso,  Scrivere per il Web, Franco Angeli Editore, 2002. Il testo probabilmente più completo per quanto riguarda queste indicazioni, anche se non specificamente orientato al Web, resta comunque il Manuale di Stile già citato in nota a pagina 18.

[31] Nella riproduzione in bianco e nero il contrasto è stato artificialmente aumentato: senza questo accorgimento le scritte sarebbero risultate praticamente leggibili.

[32] In effetti, il sito è stato incluso fra i finalisti del Webby Award 2009, che premia i migliori siti web,  nella categoria “Best Use of Typography”  (www.webbyawards.com).